È noto che per Wes Anderson, il mondo è una grande scatola dei giocattoli. Il prodigioso autore americano lo ha dimostrato con il suo ultimo lungometraggio, ‘The Grand Budapest Hotel’, in cui ha trasformato il suo cast umano in burattini comici collocati in un universo meravigliosamente allestito. Ora lo dimostra di nuovo – e se possibile, in maniera più stravagante – con ‘Isle of Dogs’, un’opera di animazione che, come quella che lo ha preceduto, apre il festival del cinema di Berlino con il suo stile unico e scintillante.
Anderson si è cimentato con l’animazione stop-motion già tempo fa con l’adattamento di Roald Dahl ‘Fantastic Mr Fox’, ma questo nuovo film di animazione con animali parlanti è molto più sofisticato e ambizioso. È ambientato in Giappone in un futuro prossimo, dove Kobayashi (doppiato da Kunichi Nomura, uno dei co-sceneggiatori del film), il sindaco corrotto della città immaginaria di Megasaki, ha adottato misure draconiane per frenare la diffusione di varie malattie canine, tra cui la temuta “Febbre del muso”. Perciò il famigerato primo cittadino manda in esilio tutti i cani di Megasaki in un’isola desolata in mezzo all’oceano.
La vita lì sembra senza speranza per i suoi esuli fino a quando non ricevono una visita da Atari (Koyu Rankin), un coraggioso bambino di 12 anni. Una banda di cani guidati dal capo randagio sfregiato dalla battaglia (Bryan Cranston) aiuta Atari nella sua missione, che consiste nell’esplorare le parti più spaventose dell’isola, un misto di landa industriale abbandonata e luna park, con parti meccanizzate perfettamente funzionanti. Nel frattempo, un gruppo di studenti animalisti – tra cui la esile ma intrepida americana Tracy – si sta sollevando contro Kobayashi, con l’aiuto della ricercatrice Yoko Ono (doppiato dalla stessa Yoko Ono).
Visivamente e tematicamente, ‘Isle of Dogs’ è immerso nella cultura pop contemporanea giapponese e nell’iconografia futurista, ma attinge anche ad influenze tradizionali – non da ultimo nelle sue argute allusioni a Hokusai e ad altre arti classiche. Il risultato potrebbe essere considerato un turismo culturale spudorato, ma il film suggerisce una vera immersione nella cultura e nel cinema giapponesi, con l’epopea di Akira Kurosawa come modello dichiarato. Anderson mostra anche la sua particolare vena linguistica sottilmente e con arguzia, lasciando il dialogo giapponese in gran parte non tradotto piuttosto che doverlo fare in maniera inesatta e banale per il pubblico occidentale.
Nel frattempo, il dialogo dei cani viene eseguito in inglese da varie star occidentali, tra i quali Bill Murray e Tilda Swinton, insieme a Jeff Goldblum nei panni del Duca che ama il gossip. c’è anche Scarlett Johansson, che dà voce a Nutmeg, un ex cagnetta da esposizione che è più dura di quanto suggerisce la sua pelliccia di seta. Anderson ed i suoi collaboratori, che comprendono anche Roman Coppola e Jason Schwartzman, evitano con fermezza il culto giapponese del ‘kawaii’, cioè delle cose ‘pucciose’ e carine. Visivamente, lo styling favorisce l’aspetto ruvido. I cani di ‘Isle of Gods’ hanno un aspetto non curato, con orecchie e pelliccia strappata. Girato ai 3 Mills Studios di Londra e al Babelsberg di Berlino, il film – che comprende anche alcuni cartoni animati tradizionali disegnati a mano – è una successione stravagante di gag miracolosamente eseguite. Anche il design dei personaggi è geniale, nonostante non tutti i cani emergono con la stessa efficacia.
Isle of Dogs’ è bellissimo anche a livello di scenari. Ci sono increspature di mari scintillanti, una linea di ombre allungate dei cani in marcia lungo un muro di immondizia, un nascondiglio multicolore fatto di bottiglie di sake scartate…e questo aspetto è di altissima levatura al pari della narrazione. Anche la colonna sonora minimalista di Alexandre Desplat è un piacere: in essa si mescolano taiko drumming, laconic jazz bass e occasionali ‘trattini’ di Prokofiev. Un’opera assolutamente consigliata. Lo scorso Natale i film a tema canino al cinema non sono mancati, voi quale avete visto?
A.P.
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