Antonio De Curtis, al secolo Totò, era un amante dei cani e già nel suo quartiere a Napoli, al rione Sanità, fin da bambino mostrava affetto ai piccoli randagi. Nell’arco della sua vita ha sempre finanziato piccoli cani fino a quando qualche anno prima di morire, con Franca Faldini creò nel 1960, a Roma, nel quartiere periferico di Boccea, un canile, “L’Ospizio dei Trovatelli”, per accogliere cani sperduti e sfortunati.
Tutte le domeniche Totò si recava al canile per occuparsi dei cani che chiamava “i suoi angeli”. Il canile, moderno e attrezzato, era arrivato a custodire ben 200 cani e costava 45 milioni di lire. Fino alla fine della sua vita, Totò ha sempre provveduto a mantenere e a gestire il rifugio.
“Nella mia vita, a spese mie, ho imparato a capire che i cani, a volte sono meglio degli uomini. Ho una passione per tutti gli animali, in special modo per i cani”, commentò in un’intervista negli anni Sessanta, il principe De Curtis, sottolineando che “questi piccoli essere indifesi hanno bisogno di essere protetti, anche dalla cattiveria delle persone, come i molti bambini che si divertono a dargli fuoco per strada, li accecano, gli danno calci”.
Lo stesso Totò replicò spiegando che questi maltrattamenti non accadono alle persone, perché ci sono le autorità che le tutelano, mentre il cane è indifeso: “Un cane non chiede niente all’uomo, da tutto all’uomo anche la vita”, affermò Totò, che concluse, ricordando che una volta un signore americano disse che “il cane è tra il bambino e l’angelo come mentalità e come cuore”.
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