Nei paesi musulmani il cane è considerato un animale impuro e di conseguenza viene emarginato. In questi luoghi, non vi è la cultura dell’animale domestico, di adottare un cane o di tenerlo in casa come nei paesi occidentali. Questo elemento è stato spesso evidenziato dalle associazioni animaliste che operano nei territori sottolineando le difficoltà nella gestione dei canili sovraffollati. Un fenomeno che porta ovviamente a situazioni di estrema sofferenza degli animali e nello specifico a strategie di contenimento, culminando nell’eutanasia o addirittura in strage di massa con l’abbattimento dei cani per strada uccisi a fucilate. Ma non solo. In Iran, è vietato portare il cane a passeggio: i proprietari dei cani infatti sono a rischio multa, sequestro e soppressione del loro cane se vengono sorpresi dalle autorità con il loro compagno a 4zampe per strada. E’ possibile detenere un cane solo per utilità: cani da guardia, da caccia, da lavoro e da pastore.
Tuttavia, le autorità devono fare i conti con il cambiamento dei tempi e delle mentalità per cui il cane è entrato a far parte a pieno titolo come membro di numerose famiglie anche in Iran. Cani di taglia piccola e media sono infatti sempre più diffusi nelle abitazioni private e il rapporto con l’animale domestico sta cambiando la percezione delle persone che hanno più sensibilità nei riguardi dei cani. Casi eclatanti, come il giovane soldato che ha perso una gamba per salvare un cane da un campo minato e le proteste degli animalisti hanno senz’altro dato un contributo ed uno slancio notevole per il cambiamento.
Ecco perché, il governo di Teheran ha incaricato un veterinario Hamid Ghahremanzadeh, responsabile del canile Aradkouh Stray Dogs, di sviluppare una nuova strategia per i randagi. La loro cattura infatti è cambiata e per prelevare un esemplare vagante vengono impiegati dei dardi anestetici. I cani sono poi trasferiti presso il canile municipale dove vengono trattati in modo migliore in una struttura più accogliente e a misura del cane e del suo benessere.
Secondo i dati, nel capoluogo iraniano la media è di una trentina di cani recuperati ogni giorno, soprattutto nelle aree più periferiche, strutture dismesse dove i cani trovano rifugio o le zone industriali.
Ghahremanzadeh ha spiegato di aver avviato il progetto lo scorso anno e nel giro di pochi mesi sta dando i suoi frutti. La strategia mira non sono ad un recupero non traumatico dell’animale, ad una migliore accoglienza del cane ma anche alle cure dell’animale, la vaccinazione e la sterilizzazione. I cani randagi vengono poi microchipati e dopo due settimane liberati di nuovo nel territorio in cui sono stati prelevati oppure vengono assegnati a delle associazioni animaliste che si occupano della loro adozione o mantenimento. Da quel momento in poi saranno monitorati. Questa operazione, secondo il veterinario, permette un maggior controllo della popolazione dei randagi.
Una politica che segna una svolta storica anche nel senso prettamente religioso, come lo ricorda Hassan Heidari, responsabile del Dipartimento Animal Control di Teheran, in una dichiarazione rilasciata all’Associated Press: “Da un punto di vista della morale islamica non ci è consentito trattare gli animali con violenza e il rispetto dei diritti degli animali è stato un altro dei motivi che ci ha fatto smettere di uccidere i cani.”
Una strategia che ha apportato i suoi frutti e nonostante le difficoltà che comporta catturare vivi i randagi, il risultato si rivela essere costruttivo, utile e più umano. In nessun canile di Teheran i cani vengono più soppressi e il loro benessere è tutelato.
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