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Quello sguardo che ci mostra che “Dio esiste”

Il rapporto con gli animali è millenario e anche se attraverso i secoli ci sono testimonianze sul significato di questo legame, il concetto utilitaristico degli animali è sempre prevalso. Eppure, quella delicata complicità che s’instaura con questi esseri appartenenti ad un’altra specie è stata spesso evidenziata e solo recentemente, ovvero a metà dell’Ottocento, ci si è preoccupati di come difendere i loro diritti e si sono venute a creare le cosiddette Society of Animal Protection. Sulla scia di questa nuova prospettiva, hanno contribuito anche molti pensatori, filosofi, sociologi e teologi elaborando ed argomentando delle tesi che sposano non solo la linea “antispecista” ovvero quella contro la superiorità della specie umana.

In tal senso, nel dicembre del 2016, è venuto a mancare un noto teologo, Paolo De Benedetti autore d’importanti pubblicazioni tra le quali la “Teologia degli animali”, ed, Morcelliana, 2007, nella quale espone il pensiero vegano nella vita del cristiano, affondando nell’antico testamento e nelle tradizioni ebraiche dove viene evidenziata maggior attenzione agli animali.

“Io credo… che l’animale, compagno di tante solitudini, di tante tristezze, in misura varia secondo la sua coscienza – affermo e ripeto coscienza – ci accompagnerà anche nell’altra vita, e non ci si chieda di spiegare il perché”, sottolineava De Benedetti. Nell’opera, sviluppa un pensiero nel quale evidenzia come gli animali e tutti gli esseri viventi rientrano nel piano di salvezza divino realizzato per l’uomo, focalizzando sul tema della sofferenza degli animali, sulla loro “intrinseca fragilità”,  che portano ad un riscatto finale: “… lo sguardo dell’animale che patisce, – al pari di quello del bambino che soffre, dell’uomo che muore, del perseguitato inerme – ‘mostra’, in maniera inequivocabile, da che parte inclina – non so se si possa davvero dire così – lo sguardo di Dio”.

In un’intervista al Corriere.it, De Benedetti spiegò che “il credente deve avere la consapevolezza che sia la vita dell’uomo sia la vita dell’animale sia la vita dell’albero sono tutte forme che dimostrano come Dio, nei rapporti con il creato, abbia come strumento fondamentale — direi addirittura come scettro di governo — la responsabilità dell’uomo verso il creato”.

Ovvero, attraverso gli animali, il pensiero del cristiano si avvicina a quella vitalità che “Dio ha seminato in tutto ciò che ha o ha avuto respiro”.

Non si tratta di un ruolo di subalterno anche se Dio ha dato all’uomo un rapporto speciale: “Ma è proprio questo rapporto a renderlo responsabile e non onnipotente nei confronti del creato. Spetta alle religioni farlo capire”.  Ovvero, De Benedetti si chiede se l’animale in sé potrebbe aiutare l’uomo a ritrovare una misura più giusta nel rapporto della creatura umana tra il finito del mondo che abitiamo e l’infinito dei mondi e a ripensare la relazione tra Dio e uomo e tra Dio e mondo.

Quello delle responsabilità verso l’altro, in senso etico e spirituale, è un tema che è stato al centro di un lungo dibattito anche filosofico, nell’ambito del quale spicca il pensiero di Emmanuel Levinas, quello di vedere il proprio figlio nello sguardo dell’altro. Una prospettiva con la quale assumersi le responsabilità delle proprie azioni nei riguardi delle altre persone, “l’alterità”. A distanza di mezzo secolo, un altro grande filosofo, inaspettatamente come ultima opera, ha ripreso questo argomento, spostandolo sul piano dello sguardo degli animali davanti al quale “l’uomo è nudo”. Jacques Derrida, nell’opera “L’Animal donc je suis” (L’animale dunque sono) ha spezzato una catena sul piano deontologico, ovvero dell’essere, cambiando la prospettiva, ovvero mettendosi nella pelle degli animali e non più al centro l’uomo, nel senso cartesiano del termine Cogito ergo sum (Penso dunque sono). Chiedendosi se l’animale si vergogna di essere nudo davanti all’uomo, Derrida ha impostato un bellissimo discorso filosofico con il quale arriva a diverse conclusioni, ponendo l’accento sul fatto che gli animali riflettono le azioni dell’uomo e come uno specchio impongono in modo imminente, attraverso le emozioni e i sentimenti che ci fanno scaturire, la compassione e l’amore, una riflessione sulle proprie azioni da un punto di vista etico, soprattutto quando si parla di violenza istituzionalizzata come quella della catena alimentare.

In tal senso, l’uomo per avvicinarsi al Creato deve aver il coraggio di specchiarsi negli occhi di quelle creature innocenti da sempre sfruttate e sottomesse.

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