Dopo Jean Fabre e Hermann Nitsch, gli animalisti hanno preso di mira le opere del noto artista, rappresentante della Young British School, Damien Hirst che ha spesso utilizzato animali nelle sue opere, mettendoli sotto formaldeide. Hirst è uno degli artisti contemporanei più quotati: tra le sue opera più note si annoverano i quadri con le farfalle, lo squalo sotto formaldeide oppure la mucca dissezionata che appare anche nel film The Cell, come anche un cavallo.
Lo stesso Hirst rivelò che queste opere sono nate da trauma che ha vissuto in adolescenza quando vide animali in putrefazione all’obitorio di Leeds. La morte da quel momento è sempre stata al centro dell’opera di Hirst che utilizza animali recuperati dai macelli o già morti per le sue sculture.
Nonostante le critiche Hirst ha proseguito con la sua arte e in occasione di una mostra intitolata “Treasures from the Wreck of the Unbelievable” che si è inaugurata a marzo a Palazzo Grassi a Venezia, il gruppo “100% Animalisti” ha colto l’occasione per tornare a criticare l’artista, depositando chili di sterco all’ingresso di Palazzo Grassi. Anche se nella mostra in questione Hirst ha presentato solo opere scultoree realizzate in bronzo, granito e finto corallo, gli animalisti hanno voluto criticarlo anche alla luce di una ricerca condotta da Artnet e pubblicata in un articolo sul numero di animali utilizzati da Hirst: “How Many Animals Have Died for Damien Hirst’s Art to Live?” (Quanti animali sono morti per far vivere l’arte di Damien Hirst?).
In totale, anche se gli animali utilizzati erano già morti, in base al catalogo ufficiale dell’artista, emerge un numero alquanto funesto. Per le sue opere, Hirst ha utilizzato 850mila mosche, 45mila insetti di oltre 3mila specie, 17mila farfalle, 668 pesci di 38 specie diverse, 17 squali, 13 pecore, 7 mucche, 5 uccelli, 5 vitelli, 4 tori, 3 puledri, 2 maiali, 1 orso e 1 zebra.
Ci si chiede tuttavia se per realizzarle, l’artista non abbia in realtà utilizzato più animali, considerando le prove o gli esperimenti “bozze”, per creare un’opera.
Una galleria degli orrori che di certo fa rabbrividire, vedere per credere