Un evento nel suo piccolo rivoluzionario si è verificato per la prima volta in Italia. E riguarda molto da vicino i nostri amici animali. Una dipendente pubblica una dipendente dell’Università La Sapienza di Roma è riuscita ad ottenere due giorni di malattia retribuita. Così è stata vicina al suo cane dopo un intervento piuttosto delicato. La battaglia è stata sostenuta dalla Lav, che ha accolto con toni trionfalistici la decisione. Diverse le testate estere, dal ‘Daily Mail’ al ‘New York Times’, che hanno ripreso la notizia. Questo a dimostrazione che si tratta di un precedente storico molto importante.
Ha spiegato Gianluca Felicetti, presidente della LAV, ha dichiarato: “Con le certificazioni medico-veterinarie richieste dal caso, chiunque altro dovesse trovarsi in una situazione analoga a quella della signora, potrà citare questo importante precedente e fare riferimento ad esso. Tutto ciò rappresenta un altro significativo passo in avanti”. Un risultato – dice Felicetti – “che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia”.
La Giurisprudenza peraltro ritiene l’omissione di cure e di trattamento di un animale che ne ha bisogno, alla stregua di un maltrattamento. Reato che, come tutti sappiamo, è perseguibile penalmente ed è strettamente connesso anche all’altro reato di abbandono di animale (prima parte dell’articolo 727 del Codice penale). La donna, intervistata dal ‘Corriere della Sera’, ha evidenziato: “A maggio, mi dissero che non era possibile ottenere il permesso per assistere un cane. Che il cane non è nello stato di famiglia. Ma Cucciola è la mia famiglia, sono sola, non c’era nessuno che poteva starle accanto”. Per questo, la donna pretende di consumare due giorni di malattia retribuita.
La decisione è stata duramente criticata, con toni eccessivi, da Mauro Munafò, giovane giornalista de ‘L’Espresso’: “Penso ai tanti amici precari, con partite Iva più o meno finte, con situazioni lavorative più o meno borderline che, leggendo la notizia, bestemmieranno. E non è un eufemismo, bestemmieranno sul serio”. Toni non proprio concilianti, per cui si arriva al paradosso di criticare quello che dovrebbe essere un diritto.
Munafò infatti accusa: “Come spesso accade nel mondo del lavoro, si è creato un incredibile rovesciamento della realtà”. In sostanza, “quello che era e dovrebbe essere per tutti un diritto (assenza dal lavoro retribuita in caso di malattia grave di un parente stretto) si evolve in un privilegio inaccettabile”. Un privilegio – spiega Munafò – “appannaggio di pochi che riescono a usarlo persino per stare con il cane”. Per il giornalista, “permettere di allargare il permesso per malattia anche alla degenza dei propri animali domestici” sarebbe “ridicolo. Inoltre, “nel moderno mondo del lavoro” sarebbe del tutto inappropriato”.
“I diritti sul posto di lavoro, come quello al permesso retribuito in caso di malattia, andrebbero estesi a tutti. Sono un diritto ‘costoso’, che i datori di lavoro sarebbero ben felici di vedere cancellato. E notizie come quella del permesso per il cane non fanno altro che indebolirlo e metterlo ulteriormente a rischio”, è la tesi di Munafò. Provando però a rovesciare i termini della questione, si può senz’altro dire che non è non concedendo diritti ai ‘super garantiti’ – come Munafò definisce i dipendenti pubblici – che si contribuisce al miglioramento delle condizioni lavorative di chi invece di diritti ne ha pochi o non ne ha per niente.
GM
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