Pena di morte, in Kenya è la pena richiesta per i bracconieri

Pena di morte, in Kenya è la pena richiesta per i bracconieri

FOTO – Facebook

Mano pesante delle autorità del Kenya nei confronti dei cacciatori di frode. Il ministro per Turismo e Fauna selvatica, Najib Balala, ha affermato chiaramente che il suo governo sta seriamente pensando di introdurre la pena di morte per chi ammazza indiscriminatamente gli animali per trarne guadagno. Nei prossimi mesi, chiunque sarà ritenuto responsabile della morte di rinoceronti, elefanti, leoni, giraffe e simili dovrà andare incontro a delle punizioni esemplari. E verrà sottoposto ad un contrappasso per analogia. La recente legge emanata nel 2013 prevede l’ergastolo oltre ad una multa immane da ben 200mila dollari per i bracconieri. Eppure tutto questo non ha scoraggiato la caccia illegale, come confermato dallo stesso Balala. Il quale intende ora dare una sterzata decisiva per stroncare questo triste fenomeno una volta per tutte, almeno in Kenya.

Il bracconaggio è già di per se una vera e propria pena di morte nei confronti di tante specie animali. Numerose di esse sono esposte al rischio estinzione a causa dell’opera scellerata dell’uomo. Dati recenti attestano che le uccisioni delle specie più esposte, ovvero elefanti e rinoceronti, sono calate rispetto al 2016. Due anni fa vennero uccisi 96 pachidermi e 14 rinoceronti, l’anno scorso il rapporto è calato rispettivamente a 60 e 9 unità. Sempre troppe però per il ministro Balala. Che ha ribadito il concetto per il quale “l’avorio appartiene a questi animali. Certa gentaglia la possiamo fermare solo così”. Il Kenya è uno degli stati africani più colpiti dalla piaga del bracconaggio. Basti pensare che negli anni ’70 la popolazione dei rinoceronti si attestava su 20mila esemplari.

Pena di morte, una punizione giusta per i bracconieri?

Ma negli anni ’90 tale numero è stato decimato a soli 400 esponenti. E le loro corna venivano vendute a 50mila dollari al chilo. Molto più della droga e dell’oro. Adesso invece i rinoceronti sono 650, ma il loro incremento demografico è stato pressoché insignificante. Ad ogni modo si sta lavorando per accentuare questa crescita, attraverso la fecondazione in vitro. Intanto qualcosa si è mossa anche all’estero. La UE ed un pò a sorpresa anche la Cina – maggiore esportatore di avorio al mondo – hanno vietato l’introduzione di tale materiale sul proprio suolo. A dimostrazione del fatto che si vuole davvero fare qualcosa per aiutare la natura e gli animali. L’obiettivo è quello di debellare il bracconaggio una volta per tutte.

A.P.

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