No alla vivisezione in una doppia intervista: la campagna di Leal

No alla vivisezione in una doppia intervista: la campagna di Leal

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Il tema della vivisezione è più attuale che mai (clicca qui), nonostante oggigiorno nell’ambito della bioetica si stiano cercando delle alternative all’utilizzo degli animali nella ricerca con metodi sostitutivi.

Per mantenere i riflettori accesi sull’orrore e le torture imposte ai nostri 4zampe, la Lega Antivivisezionista (Leal) che si batte dal 1978 contro la vivisezione, ha realizzato due brevi video di 30 secondi, in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Franco Gaffuri.

I due filmati si presentano come una “intervista doppia” uomo/cane e ragazza/gatta con la quale viene mostrata tutta la complicità tra le due specie e sopratutto l’umanità dei nostri pelosi.

La Leal finanzia da ormai quasi trent’anni borse di studio finalizzate alla ricerca di metodi alternativi alla sperimentazione animale, promuovendo campagne anche a livello Europeo.

IL DOSSIER SULLA SPERIMENTAZIONE– In un dossier sulla sperimentazione animale, la Leal ha ricordato come “stando a un rapporto del 2004 commissionato da Europeans for Medical Progress (4), l’82% dei medici di base del Regno Unito teme che i dati ricavati dagli studi su animali siano fuorvianti per gli esseri umani”. Un elemento constatato anche nella pratica considerando che ben il 92% dei farmaci sperimentati sugli animali, falliscono per l’uomo.

Secondo la Leal, la sperimentazione animale viene portata avanti perché fa comodo a vari livelli. A cominciare dall’industria chimica e farmaceutica che si nascone dietro alla sperimentazione animale, in quanto “costituisce un importante strumento di protezione legale” nei casi di morte o disabilità provocate dai prodotti chimici. In questo caso le società si difendono affermando di essersi scrupolosamente attenute alla legislazione vigente, di aver eseguito tutti i “test di sicurezza” su animali prescritti. In secondo luogo, sottolinea la Leal, la sperimentazione animale contribuisce al settore delle pubblicazioni scientifiche e inoltre, questa praticasi auto-perpetua” in quanto i ricercatori sono legati ai finanziamenti per cui difendono il loro lavoro svolto con le tecniche di sperimentazione animale in quanto per loro sarebbe “difficile o scomodo adottare metodi di ricerca radicalmente diversi come le colture di tessuti”.

Tra gli altri elementi individuati, quello del lato redditizio. La Leal ricorda le ingenti somme di denaro che circolano nella ricerca e come i ricercatori difendono la sperimentazione animale definendola più controllata rispetto a quella clinica. Anche se si tratta troppo spesso di test illusori che creano non solo delle variabli confusive, alterate dallo stato stesso dell’animale colpito da stress e patologie indesiderate.

Infine la Leal ricorda che “la moralità della sperimentazione animale è raramente messa in dubbio dai ricercatori, che generalmente scelgono di difendere questa pratica in modo dogmatico”. Viene denunciato un sistema che falsifica la realtà già a partire dalla terminologia impiegata come ad esempio la parola “sacrificare un animale” anziché “uccidere un animale” oppure l’impiego della parola “angoscia” piuttosto che dolore e sofferenza. La Leal evidenzia come “l’auto-difesa degli sperimentatori sul terreno dell’etica è sempre stata superficiale ed ego-riferita” e come l’animale sia considerato in questo ambito un essere inferiore in quanto i ricercatori ritengono che non abbiamo determinati requisti propri dell’uomo come l’intelligenza, la struttura familiare, la capacità di creare rapporti sociali, l’abilità comunicativa e l’altruismo. Tutti elementi e sentimenti che in realtà sono stati dimostrati negli animali da ricerche alternative e che vengono sminuiti nel nome dei finanziamenti, celati dietro al concetto del progresso.

Un’aberrazione della società contemporanea che si basa sulla sofferenza degli animali.

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