Catturata nel 1970 all’età di quattro anni, l’orca Lolita ha trascorso cinquantatré anni chiusa in un acquario: adesso finalmente potrà tornare in natura.
Dopo cinquantatré anni trascorsi chiusa all’interno di una minuscola vasca in uno zoo acquatico, un’orca verrà finalmente reintrodotta in natura. La storia di Lolita (questo il nome del cetaceo) proviene dal Miami Seaquarium situato in Florida negli Stati Uniti. Ed è qui che l’orca ha vissuto dalla metà del settembre del 1970, quando è arrivata all’acquario dopo essere stata catturata all’età di quattro anni e venduta allo zoo, ed è qui che rimarrà ancora per altri mesi prima di essere definitivamente liberata.
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Lolita è il “nome d’arte” (derivante dall’eroina dell’omonimo romanzo dello scrittore russo Vladimir Vladimirovič Nabokov) con il quale è comunemente chiamata Tokitae, un’orca femmina nata nel 1966. Catturata in natura l’8 agosto 1970 a Washington (a Puget Sound) quando aveva circa quattro anni, Lolita è stata acquistata dallo zoo marino di Miami Seaquarium in Florida.
Arrivata qui attorno alla metà del settembre del 1970, Lolita da allora si è esibita per quasi cinquantatré anni per i milioni di visitatori annuali dell’acquario.
Le orche (note con il nome scientifico di Orcinus orca secondo la classificazione tassonomica di Linneo del 1758) sono mammiferi marini appartenenti alla famiglia dei delfinidi (cetacei odontoceti). Vivono in tutti i mari e in tutti gli oceani del mondo, dalle fredde regioni artiche e antartiche, fino ai mari tropicali, anche se preferiscono le acque fredde sia artiche che antartiche; sono considerate dei superpredatori in quanto si trovano all’apice della piramide alimentare. Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (conosciuta con l’acronimo di IUCN dall’inglese International Union for the Conservation of Nature), alcune popolazioni locali di orche sono però considerate una specie minacciata e in pericolo a causa della distruzione del loro habitat, dell’inquinamento, della pesca e della cattura per il loro utilizzo nei parchi marini (soprattutto negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo).
Le orche sono mammiferi sociali, che trascorrono tutta la vita insieme ai loro simili. Lolita, invece, dopo aver vissuto fino al 1980 insieme a un’altra orca poi deceduta, ha passato quarantatré anni in completa solitudine in una vasca di poco meno di venti metri. Le vasche del Seaquarium in cui Lolita (la cui lunghezza raggiunge quasi i sei metri) ha vissuto sono tra le più piccole di tutti gli Stati Uniti e sono inoltre esposte al sole e alle intemperie (andando quindi contro uno degli articoli dell’Animal Welfare Act).
Dopo cinque decenni di lavoro, interrotto solo recentemente a causa di una malattia, Lolita verrà finalmente liberata. Grazie a un accordo tra l’organizzazione non-profit Friends of Lolita (fondata dall’ambientalista Pritam Singhe), il capo della The Dolphin Company proprietaria del Seaquarium Eduardo Albor e il filantropo e proprietario degli Indianapolis Colts della NFL Jim Irsay, l’orca potrà tornare in natura.
Il trasferimento del mammifero nelle acque al largo della costa occidentale degli Stati Uniti non potrà però avvenire subito: saranno necessari tra i diciotto e i ventiquattro mesi per organizzare un trasporto dell’animale in totale sicurezza. I problemi poi, una volta liberata, saranno molti. Gli esperti temono che Lolita possa non essere accettata dal branco, trasmettere loro infezioni prese in cattività e che non riesca a sviluppare la muscolatura necessaria per muoversi in mare aperto.
Gli animali sono esseri senzienti e in quanto tali provano gli stessi sentimenti degli esseri umani. Del resto, proprio sulla base di queste idee, in molti Paesi del mondo si sta procedendo a sostanziali modifiche del Codice civile per riconoscere legalmente gli animali come esseri senzienti. Tenerli reclusi all’interno di gabbie, negli zoo o nei parchi acquatici lede i loro diritti alla vita e alla libertà. Sono molte le storie che raccontano di poveri animali che hanno trascorso l’intera esistenza dietro alle sbarre, senza mai vedere il cielo, come ad esempio Ruben, conosciuto da tutti come il “leone più triste del mondo” e che finalmente verrà liberato in un santuario in Sudafrica dopo quindici anni trascorsi in una gabbia. Si può solo sperare che in futuro sempre un minor numero di animali debbano vivere in cattività. (di Elisabetta Guglielmi)
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