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Multinazionale americana chiude Green hill a Montechiari e mette in vendita la struttura

@Getty images

Una notizia che di certo non lascia indifferenti riguardo alla decisione della multinazionale americana Marshall, proprietaria di Green Hill, che ha deciso di chiudere l’allevamento di beagle a Montichiari, nel bresciano.

Infatti, la direzione della multinazionale ha riferito che l’azienda è stata danneggiata dal “recepimento restrittivo da parte dell’Italia della direttiva europea sulla sperimentazione animale” e  dalle “limitazioni che, seguendo la spinta animalista, sono state introdotte con il Decreto Legislativo 26/2014 all’utilizzo degli animali per scopi scientifici rispetto a quanto viene disposto dalla Direttiva 2010/63/EU, al punto che la Comunità Europea ha avviato una procedura di infrazione contro il nostro Paese”.

“Marshall ha atteso che l’Italia si allineasse alla normativa europea, come hanno fatto tutti gli altri Stati membri, continuando ad investire anche nel nostro Paese in attesa della dovuta modifica al decreto 26/2014. La situazione paradossale penalizza tutto il mondo della ricerca biomedica Made in Italy”, scrive la direzione, sottolineando che “gli Enti di Ricerca Italiani, per validare i propri studi, sono obbligati ad utilizzare gli animali che però non possono essere allevati in Italia, rendendo inoltre più difficile garantirne il benessere”.

L’azienda è al centro di diversi processi riguardo al blitz del 2012 con 12 animalisti che si sono introdotti nell’allevamento per salvare i beagle e denunciati per aver “rubato e non liberato i cani”. Ma nell’ambito del processo sono finiti non solo i vertici dell’azienda, ma anche alcuni dipendenti e dei veterinari della Asl.

Il tribunale di Brescia, il 23 gennaio 2015, ha condannato tre dei quattro imputati nel processo Green Hill.

La multinazionale aveva sperato fino all’ultimo di riaprire l’attività, mantenendo due dipendenti all’interno della struttura. Ma alla luce della decisione, finalmente, le associazioni che si sono battute per la difesa dei cani e contro la sperimentazione possono dare un sospiro di sollievo.

PLAUDO DELLA LAV- Soddisfazioni espresse dalla Lav che sottolinea che “in Italia le leggi non le fa la Marshall e la normativa italiana è all’avanguardia su quello che impone l’Europa dal Trattato di Lisbona in poi: la protezione degli animali quali esseri senzienti. Nessun vittimismo, giudici differenti e due sentenze di condanna confermano le nostre ragioni. Quel benessere che sarebbe violato dal recepimento restrittivo della Direttiva era invece quello che più magistrati hanno accertato mancare in un allevamento intensivo del calibro di Green Hill, condannato per maltrattamento ed uccisione di animali, in secondo grado con confisca di tutti gli animali”:

L’organizzazione animalista ha poi ricordato che la chiusura di Montechiari “rappresenta un segnale positivo di un Paese che finalmente può, e deve, investire in tecniche innovative e utilizzare fondi per lo sviluppo di sperimentazioni alternative agli animali, come fatto dai Paesi tecnologicamente più avanzati e come voluto dalle norme internazionali”, concludendo che “continuerà a battersi per l’abolizione della sperimentazione sugli animali e a favore dello sviluppo dei metodi sostitutivi di ricerca, già oggi molto più utilizzati a differenza di quanto afferma la Marshall, validati scientificamente al contrario della sperimentazione animale”.

DELUSIONE PER I PRO SPERIMENTAZIONE – Di parere opposto la Pro-Test Italia, associazione no profit di studenti e scienziati per la tutela della ricerca biomedica in Italia la quale sottolinea che “siamo un Paese in cui la politica impone per legge la sperimentazione animale per testare farmaci prima di commercializzarli, ma ne proibisce l’allevamento costringendo gli istituti, compresi quelli pubblici, a comprare gli animali all’estero, pagandoli di più e facendo supportare agli animali stessi le fatiche del trasporto”. Per l’associazione si tratta di una “sconfitta del sistema Italia”.

Chissà se un giorno, Pro test cambierà idea nel merito. Ma di sicuro, per gli animalisti, questo è un chiaro ed esplicito segnale che la ricerca deve cambiare.

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