I ricercatori dell‘Università ‘La Sapienza’ di Roma, coordinati dal professor Pierfilippo Cerretti, hanno portato alla luce un reperto costituito di ambra nel quale è ben visibile una mosca. L’insetto, il cui corpo si è conservato perfettamente intatto, è visibile proprio attraverso la materia giallastra e risalirebbe a ben 17 milioni di anni fa. Lo studio che ha riportato il tutto è stato pubblicato su ‘Plos One’. Il professor Cerretti appartiene al Dipartimento di Biologia e Biotecnologie ‘Charles Darwin della Sapienza. E la mosca appartiene al gruppo dei Ditteri Calittrati, dal quale hanno avuto origine anche la mosca tse-tse e la mosca della carne.
La quale conta ben ventiduemila specie attualmente diffuse sulla faccia della Terra. Il ruolo delle mosche in qualsiasi ecosistema esse si trovino (pressoché tutti quelli esistenti al mondo) risulta molto importante. La loro opera in qualità di decompositori è infatti estremamente utile in qualità di decompositori ed anche impollinatori. Possono però trasmettere anche delle malattie.
Lo stesso Corretti definisce “inconcepibile un mondo senza mosche. Possono dare fastidio, ma in quanto a decompositori della materia organica sono imbattibili”. Il fossile dell’antica mosca è stato trovato a nord-est di Santiago, nella Repubblica Dominicana, in un giacimento di resti databili al Miocene. Dall’esame approfondito condotto tramite TAC è stato possibile anche ripercorrere la storia di questa specie, andando pure molto più in là nel tempo, fino al periodo di passaggio dal Cretaceo al Cenozoico. Epoca nella quale si ebbe una grossa estinzione di massa che portò poi al cambiamento in tutte le specie animali e vegetali presenti sul pianeta.
A proposito di scoperte sensazionali, addirittura in Australia sono oltre mille le specie di essere viventi. Della cui esistenza si è giunti a conoscenza esplorando il fondo dell’oceano. Tantissime sono state le specie marine fino ad oggi sconosciute con le quali si è finalmente riusciti ad entrare in contatto e che sono state debitamente identificate e catalogate. Il tutto grazie all’utilizzo di moderne strumentazioni elettroniche, che però hanno portato in evidenza anche un altro aspetto: pure gli ancora sconosciuti fondali marini sono purtroppo stati raggiunti dall’inquinamento causato dall’uomo.
A.P.
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