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L’arte come dialogo in divenire contro ogni forma di discriminazione: Tiziana Pers

@courtesy of the artist/Tiziana Pers

Cosa significa essere un artista impegnato per la causa animalista? Tiziana Pers non ha mai dubitato un istante nel mettere al servizio la sua arte per raccontare il regno degli animali approcciandosi al dibattito antispecista. Lo sfruttamento, la violenza e i maltrattamenti perpetrati in un sistema in cui vi sono animali di serie B e di serie A. Una società che all’insegna del benessere economico non rispetta la vita. Un meccanismo produttivo che disumanizza e che lentamente allontana gli individui dall’empatia, una facoltà cognitiva fondamentale per lo sviluppo equilibrato di una persona. L’arte è un mezzo con il quale esprimere una realtà, svelarla e rendere visibile quello che è invisibile, come in un’epifania che avviene attraverso tutti i sensi. Laddove non arriva la parola, forse le immagini, i suoni, il tatto possono raccontare la sofferenza di migliaia di animali, ma anche la bellezza che è in ciascuna creatura e la gioia nel loro sguardo.  Tiziana Pers racconta il personale percorso che l’ha portata a dedicare la sua opera e la sua vita agli animali non come risposta ma come forma aperta in divenire. La stessa Pers sottolinea quanto “l’opera stessa costituisce una domanda aperta, una processualità in divenire, non una risposta”. Una differenza sostanziale tra “arte” e “attivismo”, per cui l’arte si fa dialogo.

Lei è sempre stata impegnata con il suo lavoro a difendere la causa animale. Ci spieghi il perché?
L’arte è il risultato, la forma visibile, di un’esigenza. Ha origine dall’incontro tra una pulsione interiore e il mondo esterno, la società nel suo insieme. Ed ogni esigenza nasce da fatti contingenti, da dati biografici.
Nel mio caso da bambina mia madre mi lasciava spesso giocare a casa di un’amica; i suoi genitori erano contadini, ed un giorno mi dissero che avrebbero macellato il loro piccolo pony. Quando mia madre venne a prendermi alla sera mi trovò abbracciata a quell’animale: non lo volevo lasciare. All’inizio lei era incredula, non pensava si potessero mangiare anche i pony, ma, quando il contadino le ribadì le sue intenzioni, lei mi disse: “Possiamo prenderlo, ma dovrai rinunciare a qualcosa per mantenerlo. E ricordati che dovrai sempre prenderti cura di lui”. Ventotto anni dopo Fulmine è morto tra le mie braccia.

Come interpreta la sua arte?
Dalla vicenda di Fulmine molte domande sono sorte: perché alcuni animali vengono considerati ‘da compagnia’ (come se si potesse decidere di far nascere qualcuno solo per nostro diletto!) ed altri ‘da reddito’? Ovvero come si può dividere la vita pensando che alcuni soggetti senzienti, allevati da noi, siano destinati esclusivamente a nostro uso e consumo, al pari di oggetti?
Il termine stesso ‘capitalismo’ deriva da ‘caput, capitis’, ovvero capo di bestiame. In buona sostanza l’intero mondo per come noi lo conosciamo si basa sull’idea che la ricchezza nasca dal rendere l’altro animale un oggetto, dalla privazione della sua identità come essere senziente. Ecco in questo senso la mia arte indaga i parallelismi e le connessioni tra le diverse forme di discriminazione, il meccanismo che lega il trattamento che riserviamo agli animali e agli altri uomini. La radice che anima il razzismo (discriminazione basata sull’etnia) è la medesima che dà origine allo specismo (discriminazione basata sulla specie) ed al sessismo (discriminazione basata sul sesso). Si tratta di violenza verso qualcuno che risulta ‘diverso’, inferiore, rispetto al modello dominante (umano, maschio, etero, bianco, europeo).

Quale sono state le iniziative più forti che ha fatto? E quali sono state le reazioni delle persone?
Non saprei rispetto alla ‘forza’, dipende cosa si intende. Mi spiego meglio: anni fa impiegavo anche il sangue: era sangue che raccoglievo direttamente nei mattatoi dove venivano macellati gli animali. Si trattava di azioni piuttosto sinestetiche e per certi versi crude: per la Biennale di Venezia del 2009, come evento collaterale, avevo (anzi avevamo, perché si era trattato di un progetto che aveva visto la partecipazione di molte persone e di numerosi enti ed istituzioni) orchestrato una Prima Cena, ovvero un’Ultima Cena alla rovescia: chi avrebbe dovuto morire invece avrebbe continuato a vivere. In buona sostanza undici persone e due animali condividevano la stessa tavola. Mi riferisco a due cavalli salvati dal macello tramite una pratica che porto avanti da diversi anni, Art History, mediante la quale scambio un animale destinato al macello con un mio dipinto, alto quanto l’animale. In questo modo si vanno ad attivare tre quesiti: è possibile dare un valore economico ad una vita? e ad un’opera? e poi: può l’arte salvare una vita?
Il pasto, composto da frutta, verdure e focacce, veniva condiviso anche con il pubblico. In quel caso noi performers e il pubblico avevamo il corpo tracciato con il sangue lungo i segni delle varie parti in cui i due cavalli avrebbero dovuto essere sezionati. Sette giovani ragazzi leggevano il Cantico delle Creature in modo asincrono, ciascuno con il proprio ritmo, dettato anche dal tipo di disabilità con la quale convivono, e che la terapia del rapporto con l’animale aiuta a normalizzare. Il pubblico era commosso, alcuni se ne sono andati via in lacrime, molti sono rimasti, applaudendo a lungo.

Altre opere significative?
E’ un percorso che mi ha formata, anche se ho abbandonato molti di quei linguaggi, come appunto la presenza fisica dell’animale durante l’azione, l’uso del sangue, ed altro. Nel tempo si cambia.
Una delle azioni a cui sono più legata si è tenuta al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, all’interno del Movie Set di Marinella Senatore per la sua mostra Costruire Comunità. In quell’azione, I see you, avevo collegato via skype una classe di bambini con l’asinella Cometa Morena, anch’essa salvata, mentre già era libera sui colli sopra Cividale, nel rifugio dell’attivista Rita Zamarian. I bambini e l’animale erano reciprocamente interessati gli uni all’altra, e mentre la piccola è rimasta tutto il tempo con il muso vicino al monitor, incuriosita da quel brulicare di voci, sguardi e mani, i bambini le hanno letto poesie, raccontato storie, cantato canzoni, ed hanno pianto di gioia, per quella vita che ancora vive. Oppure penso ad Elephant Song, una mostra personale che ho realizzato insieme ad ALL e all’Università degli Studi di Udine, focalizzata sul rischio estinzione degli elefanti e di molte altre specie, articolata negli spazi del Museo di Storia Naturale di Trieste e curata dal filosofo Leonardo Caffo e dalla storica dell’arte Martina Peruch. Partendo dalla mostra ho poi realizzato l’omonimo video, prodotto dalla Quasar Multimedia, dove mio figlio, così come i bambini di domani, ripercorre di notte le stanze del Museo tra dipinti e reperti, disegni ed animali tassidermizzati. E comincia il suo percorso proprio dalla Wundekammer, il luogo dove emerge più evidente la connessione tra specismo e colonizzazione.
Diverse persone, nel corso degli anni, mi hanno detto di aver iniziato a riflettere proprio dall’incontro con le mie opere. Alcune sono diventate vegetariane, altre vegane. E’ un seme, e ciò che nasce dipenderà da chi se ne prenderà cura.

Che cos’è il Progetto Rave
Da anni, insieme a mia sorella Isabella Pers, portiamo avanti il progetto artistico RAVE East Village Artist Residency. RAVE è un progetto partecipativo che apre la discussione sul ruolo e sulla responsabilità dell’arte contemporanea nei confronti dell’alterità animale e sulla necessità di ripensarsi in una prospettiva biocentrica e antispecista. Prende vita tramite la partecipazione attiva di altri artisti, filosofi, critici, attivisti, architetti e poeti, dando origine a nuove ricerche e dialoghi interdisciplinari. Ma RAVE è soprattutto un momento esperienziale, il cui cardine è la condivisione di spazio e tempo con gli animali che ho salvato dal macello, che permette di immaginare una prospettiva differente. RAVE viene realizzato grazie alla collaborazione con Vulcano, Trieste Contemporanea, ALL/Università di Udine, Oipa, Musiz Foundation, Gallinae in Fabula, Creaa, Biolab, Filiera del Legno FVG, con il supporto della Regione Autonoma FVG. Dal suo inizio è un progetto condiviso anche nel processo creativo, e vede il coinvolgimento di Giovanni Marta e tutto il team Vulcano, e di curatori, critici e storici dell’arte come Daniele Capra, Giuliana Carbi e Martina Peruch.

Ci parli della sua ultima serie.
Con la galleria aA29 Project Room ho presentato recentemente “The broken line”, dove una serie di disegni ritraggono animali che hanno provato a fuggire dai mattatoi, con esiti diversi. Nel tentativo di resistere alla linea degli eventi che l’uomo aveva previsto per loro, hanno provato a spezzare un destino prestabilito: alcuni hanno raggiunto la salvezza, e vivono adesso in santuari (con santuari si intendono quei luoghi dove gli animali cosiddetti da reddito sono accolti, protetti ed accuditi da attivisti), e altri sono stati uccisi a fucilate lungo le autostrade, tangenziali, presso emittenti televisive… Alcuni episodi ho deciso di tradurli in pittura, come la recente tela: Giovane manza fuggita nel parcheggio di un supermercato ed uccisa a fucilate _ Fiume Veneto.
In parallelo sto lavorando a dipinti che ritraggono individui che sono stati salvati da me, o da altri attivisti. Si tratta sempre di episodi reali, concreti, dove gli animali non sono rappresentativi di una specie, ma ritratti nelle loro identità specifiche.
Spesso la tela non comprende l’intero corpo, ma un dettaglio, come lo sguardo, in altri casi una sfumatura del manto, che si fa tela astratta di una presenza contrapposta ad altre tele che riportano brani di cielo, di nebbia, di buio. E la differenza tra presenza e assenza in alcuni casi si fa davvero impercettibile.

Progetti in corso e progetti futuri?

In questo periodo sto anche lavorando ad un libro che ho trovato degli anni ’20, e che racconta le cure degli animali agricoli. Mi interessano in particolare i passaggi dove si racconta l’importanza del ‘capitale bestiame’, sia come investimento economico individuale, sia come ricchezza di una nazione. E ritorniamo ancora all’oggettivazione dell’altro come base del capitalismo. Ad ArtVerona sempre con la aA29 a metà ottobre di quest’anno ho infatti realizzato un percorso pittorico che veniva concettualmente aperto da estratti di questo libro, e chiuso dall’opera-contratto Art History, che nel caso specifico sancisce l’accordo di scambio con cui la mucca Ugola è stata riscattata nel 2016.
E’ ancora in corso la Seoul Biennale of Architectureand Urbanism Imminent Commons dove, all’interno dell’installazione Architecture of Intelligence di Giuseppe Stampone, sono allestite le opere della serie mia e di mia sorella Isabella Pers RAVE around Seoul. Io con chine su carta, e lei con acquerelli, abbiamo immaginato di ricontestualizzare gli animali RAVE nei parchi di Seoul, come una diversa utopia di coesistenza.
Alla scorsa estate risale invece l’esperienza GuilmiArtProject / Nuova Didattica Popolare a cura di Pietro Gaglianò. Per questo contesto, un borgo abruzzese, avevo immaginato, sempre con mia sorella, una serie di occhi, realizzati a china. Molteplici guardi si alternano in una composizione dove il margine tra umano e non umano si fa sempre più esile.
Ancora in corso invece la mostra a Casa Sponge nelle Marche, collettiva organizzata per i dieci anni di attività del centro, a cura di Serena Ribaudo. Per questo evento ho proposto il ritratto molto ravvicinato di una pecora, appartenente alla serie The Age of the Flock.
Recentemente ho poi collaborato strettamente con due poeti: Natalia Molebatsi, una delle maggiori voci sudafricane della spoken word del post-apartheid, abbiamo sviluppato un dialogo tra pittura e poesia: lei aveva iniziato a scrivere partendo dalle suggestioni dei miei dipinti Elephant Song, focalizzandosi sulla figura della nonna che apparteneva al Clan dell’Elefante, ed è così nato Elephant Woman Song.
Sempre nel 2017 è stato pubblicato Agonie della Civiltà, una raccolta di poesie di Marco Cioffi, eclettico poeta romano. Abbiamo svolto anche qui un dialogo a due tra poesia e pittura, ma in questo caso siamo partiti dalla parola scritta. Entrambi i libri raccontano, in modo diversi, del complesso rapporto etico, sociale ed ancestrale tra l’animale umano e l’animale non umano.

Quali sono le situazioni che la indignano maggiormente con gli animali?
Sono troppe da elencare. Il campo, purtroppo, è vastissimo. Ciò che forse mi impressiona di più in generale è l’indifferenza, il non voler provare a riconoscersi nel dolore dell’altro. O quando qualcuno mi dice: ‘Io amo gli animali’, mentre mangia una fetta di prosciutto, o indossa inserti in pelliccia (e mi capita spessissimo!). Perché semplicemente non è vero. Ama magari gli animali che vede, che conosce, che incontra. Perché li riconosce come simili, distingue la vita. Ma non quelli che mangia. O che usa. Tecnicamente si chiama dissociazione cognitiva.
Tutti abbiamo fatto un percorso: nessuno è nato vegano, attivista, consapevole, e questo dobbiamo tenerlo a mente: non possiamo pretendere dagli altri ciò che noi stessi abbiamo conquistato nel tempo, un passo alla volta. O non abbiamo ancora conquistato: in fondo non esiste un punto d’arrivo: continueremo a mutare, apprendere ed evolverci sino alla fine (si spera). Ma nell’epoca del nuovo millennio, con gli incredibili mezzi che abbiamo a disposizione, sappiamo esattamente cosa c’è dietro ad una fettina di maiale. C’è qualcuno, non qualcosa. E quello che manca è solo un passaggio, una piccola connessione che cambia l’intera visione di ciò che ci circonda.

Qual è ruolo dell’arte per sensibilizzare le persone?
Il ruolo dell’arte non è tanto quello di sensibilizzare direttamente, altrimenti sarebbe una forma di propaganda al servizio dell’attivismo. L’arte non dichiara, ma pone domande. E’ dalle domande che ciascuno di noi si pone che ha origine il cambiamento. La risposta è sempre individuale. Innanzi ad una stessa opera cento persone ne coglieranno sfumature differenti, e attraverso quell’opera, se siamo fortunati e se si tratta di un buon lavoro, scopriranno qualcosa di più di loro stessi.
L’arte ha la grande possibilità di immaginare scenari futuri, alternative non ancora percorse, sentieri nuovi di convivenza e coesistenza. Ma, come ogni inizio, si parte dalla parte più profonda ancora da esplorare.

 

Carlotta Degl’innocenti

Ringraziando la Pers, proponiamo una selezione delle sue ultime opere

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