Inquinamento da plastica, un dilemma da risolvere al più presto per la salute e la vita degli animali e anche per la nostra
Una conferma sconfortante e inquietante proviene da un’importante ricerca: entro il 2040, la plastica negli oceani è destinata a triplicare la sua crescita. La responsabilità dipende non solo dall’inciviltà umana ma anche dal consumo della plastica monouso per quanto concerne le mascherine. Vediamo meglio di cosa si tratta.
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Lo studio è stato condotto sotto la guida di Winnie Lau , appartenente all’organizzazione non governativa statunitense denominata “The Pew Charitable Trusts”. Al progetto però vanta anche la partecipazione italiana, mediante il contributo Enzo Favoino, ricercatore e tecnico del Parco di Monza. Il risultato della ricerca evidenzia un aumento smisurato dei rifiuti, non solo lungo le coste ma anche lungo le strade della città. Infatti, la principale fonte di inquinamento proviene dai rifiuti solidi urbani che non vengono raccolti correttamente. La presenza della plastica nelle acque, nei prossimi 20 anni, potrebbe raggiungere quasi 600 milioni di tonnellate. Un numero in forte aumento che contrasta in modo notevole con gli attuali 11 milioni. Il peso indicato corrisponde a quello di 3 milioni di balenottere azzurre.
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A farne le spese infatti, sono i cetacei i quali si trovano in serie difficoltà di sopravvivenza. Sono numerosi i casi dei cetacei a rischio estinzione, per la precisione, oltre un milione e mezzo di specie, secondo la classifica creata dal rapporto sulla Biodiversità dell’Onu. Le balene e i delfini sono gli animali principali a rischio di sopravvivenza poiché sono i più colpiti dall’inquinamento. La contaminazione dalla plastica è la causa primaria e le specie colpite sono diverse ma accomunate dal medesimo pericolo. Il pianeta marino ospita tursiopi, stenelle, zifi, capodogli fino ad arrivare alla balenottera comune la quale può giungere anche a 23 metri di lunghezza. La loro salute e la loro vita sono messi in serio pericolo. Oltre all’inquinamento da plastica, incide anche il traffico marittimo e la pesca. Nel complesso, dunque, tutte attività umane sono i motivi che hanno contribuito ad aumentare il loro livello di rischio.
Il problema, com’è facile intuire, richiede tempo per essere risolto e i ricercatori si sono impegnati nel fornire otto misure indispensabili per scongiurare un immane disastro. Come primo consiglio c’è la raccolta differenziata, strettamente connessa con la responsabilità di gettare ogni cosa al posto giusto. A ciò si uniscono la sostituzione di materie plastiche con la carta e le materie biodegradabili. Seguono gli imballaggi riciclabili e il riciclo. Purtroppo, le misure prese serviranno a ben poco senza l’aiuto della popolazione.
I loro progetti potranno far diminuire la plastica solo del 7 %. Una percentuale bassissima che non fa sperare sulla possibilità di una risoluzione definitiva. Invece, se le soluzioni indicate sono accompagnate da altre, l’esito sarà decisamente migliore. Infatti, dal 7 % si passerà alla riduzione dell’80 % della plastica negli oceani. E non è finita qui! Perché i vantaggi saranno anche per il lavoro. Attraverso tali attività, la presenza di materiali riciclabili sarebbe in grado di creare ben 700.000 posti di lavoro.
Un aspetto molto positivo, vero? Le parole di Tom Dillon, vicepresidente per l’ambiente di Pew sono chiare e concise: “Possiamo investire in un futuro all’insegna della diminuzione degli sprechi che comporta la creazione di maggiori posti di lavoro e di ottimi risultati per quanto concerne la salute.”
Benedicta Felice
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