Roberto Marchesini, filosofo, etologo e zooantropologo, direttore del “Centro Studi Filosofia Postumanista” e della “Scuola di Interazione Uomo-Animale (SIUA)” ha rilasciato un’interessante intervista a Eleonora Adorni per la mittente radiofonica “Restiamo animali”, nell’ambito della quale ha parlato delle tematiche affrontate nel suo ultimo saggio intitolato “Etologia filosofica. Alla ricerca della soggettività animale”, edito Mimesis 2016.
Un percorso con il quale Marchesini ha spiegato la distinzione tra etologia cognitiva e filosofica, per affrontare il nodo centrale riguardo alla problematica della coscienza degli animali. Un elemento sul quale si dividono gli scienziati arrivati a riconoscere gli animali come esseri senzienti ovvero in grado di provare sentimenti e sofferenza. Tuttavia, il salto che potremmo definire quantico e rivoluzionario nell’affermare che gli animali hanno una coscienza provocherebbe un mutamento all’interno del sistema di pensiero, imponendo un cambiamento drastico nei rapporti tra gli umani e tutte le altre specie viventi. Ma non solo. Affermare che gli animali hanno una coscienza, facoltà riservata all’uomo, sulla quale viene fondata la superiorità della specie e di conseguenza lo sfruttamento degli animali a fini utilitaristici, comporterebbe nuovi diritti agli animali che oltre alla tutela del loro benessere non potrebbero più essere sfruttati.
Un gruppo di scienziati ha sottoscritto la Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza (The Cambridge Declaration on Consciousness) con la quale hanno proclamato che gli animali “sono coscienti e consapevoli allo stesso livello degli esseri umani”, stillando una lista che spazia dai mammiferi, agli uccelli fino ad arrivare al polipo.
In questo ambito, Marchesini propone una bella riflessione con la quale da un punto di vista filosofico si è chiesto che cosa sia la coscienza cercando di superare il concetto di meccanicismo Cartesiano per il quale gli animali sono esseri con una “sommatoria di automatismi”. Non a caso, alcuni ricercatori ancora oggi anche nell’ambito delle ricerche cognitive, limitano appunto la coscienza degli animali relegandola all’automatismo biologico della specie.
Marchesini propone al contrario un superamento di questo punto di vista prettamente biologico, partendo dalla questione del “soggettivismo animale” che appartiene a tutte le specie.
“La caratteristica fondamentale degli animali è che sono delle entità desideranti, delle entità inquiete, sempre alla ricerca, peripatetiche non perché si muovono ma perché esse stesse sono movimento, in quanto cercano nell’ambiente qualcosa e cercano di esprimere”, sottolinea Marchesini, spiegando che “il desiderio sta alla base della soggettività che viene ancora prima della coscienza, ovvero l’animale è cosciente perché desidera, non desidera in quanto cosciente e il pensiero è il frutto di questo pensiero”, prosegue Marchesini, affermando che questo significa “abbattere le barriere tra l’umano e le altre specie che hanno le proprie caratteristiche, dotate di strumenti con i quali s’intersecano con il mondo”.
Marchesini riafferma il concetto per cui “tutti gli animali hanno delle caratteristiche comuni ovvero tutti gli animali desiderano. Si tratta per tanto di una caratteristica in comune dell’essere animale, quello che utilizza le proprie dotazioni per realizzare il desiderio”.
La distinzione è molto profonda e con l’approccio di Marchesini quello dell'”Etologia filosofica” si sposta l’ago della bilancia sul tema dell’ontologia dell’animale ovvero dell’essere e non della sua natura. Questo punto di vista evidenzia che nella natura ci sono dei finalismi e che pertanto gli animali sanno sempre reinventarsi, dimostrando che vi è una creatività animale: “La dimensione ontologica dell’animalità è diversa dalla scienza che cerca il modello descrittivo scientifico per cui l’animale è una sommatoria di automatismi e non entità sistemica come la mente. Per la scienza gli animali non sarebbero titolari del proprio comportamento”, sottolinea il filosofo.
Questo relativismo e slittamento interpretativo porta ad un cambiamento e ad un approccio diverso al mondo vivente: “Ormai sappiamo che gli animali non sono automi, fare questo passaggio significa rivoluzionare il nostro impianto economico e antropologico per cui vi sono delle resistenze”, conclude lo studioso.
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