Gatto viene soccorso dal pompiere che cade dalla scala e resta invalido: niente risarcimenti per l’uomo, il micio non era in difficoltà.
Un finale assurdo di una vicenda altrettanto assurda: un vigile del fuoco rimarrà invalido per il resto della vita per aver fatto il suo dovere. Ha infatti cercato di salvare un gattino che non riusciva a scendere da un albero. L’accaduto a Padova: nel dicembre 2005, una signora chiese aiuto per far scendere da un ramo il suo micio. Il pompiere era salito sulla scala, ma – si legge nelle carte processuali – “nel tentativo di raggiungere l’animale e riusciva ad afferrarlo, quando improvvisamente il ramo dell’albero al quale era appoggiato si rompeva ed egli precipitava al suolo”. Va chiarito che l’invalidità è lieve, ma non è questo il punto.
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Il problema è che la Cassazione gli ha negato il diritto ai benefici della legge sulle invalidità civili nell’esercizio del proprio dovere al vigile del fuoco. Il motivo: non è possibile dimostrare che quel gatto stesse rischiando la vita. Nella sentenza di primo grado del tribunale di Padova si leggeva: “Tra le attività dei vigili del fuoco rientra anche il salvataggio di animali (…) per cui l’evento che si verificava (l’infortunio, ndr) merita una speciale tutela, visto il nesso di casualità tra il fatto e l’azione di soccorso”. Arrivò però il ricorso in Appello del Viminale, che scriveva attraverso i suoi legali: “Il recupero di un gatto nascosto in un albero non è qualificabile come operazione di soccorso”. Questo perché “la nozione di soccorso implica il riferimento al salvataggio di un essere umano”. Inoltre, “non era a rischio l’incolumità del gatto, l’intervento era mirato unicamente ad aiutarlo a scendere, non a soccorrere un essere in situazione di imminente pericolo”.
Sia in Appello che in Cassazione venne avallata la tesi dei legali del Ministero dell’Interno, almeno nella parte riguardante la presunta incolumità del gatto, pur ammettendo che la legge “non distingue tra il soccorso di esseri umani e di animali”. Il vigile del fuoco non ha saputo dimostrare “che il gatto fosse in pericolo, la circostanza non può essere presunta solo per il fatto che lo stesso si era arrampicato fino a cinque metri, essendo notorio che i gatti sono animali in grado di arrampicarsi”. L’avvocato Andrea Bava, che ha assistito il ricorrente, ritiene che la Cassazione “ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto mancasse la prova dello stato di pericolo del micio. Fa quasi sorridere la constatazione secondo la quale non vi era la prova che l’animale rischiasse la vita: non avrei mai pensato di dover documentare lo stato d’animo di un gattino, per dimostrare che si sentisse soggettivamente in pericolo. Forse occorreva che miagolasse aiuto”, ironizza.
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