Parte oggi il blocco delle attività della flotta da pesca italiana. I primi a entrare in fermo sono i pescatori lungo la costa Adriatica, da Trieste ad Ancona, gli ultimi quelli del tratto tirrenico da Livorno ad Imperia, fermi fino al 31 ottobre. Si tratta di un provvedimento che il governo impone per regolare la pesca durante i periodi riproduttivi dei principali prodotti ittici.
Secondo un calendario prestabilito, per ogni zona di costa, il blocco è di sei settimane. Il fermo pesca viene concordato dal Ministero delle Politiche Agricole in una riunione con le Regioni, le Associazioni nazionali di categoria e le Organizzazioni sindacali di settore. Si concentra soprattutto su determinati sistemi di pesca, come reti a strascico, reti a divergenti e reti volanti, al fine di garantire la salvaguardia della fauna marina.
In ogni caso, si apprende che dall’anno prossimo il sistema sarà riformato. Quella del fermo pesca è come sempre una scelta che divide e Coldiretti Impresa pesca segnala il possibile aumento di pesce scongelato o proveniente dall’estero. Per tale ragione l’invito è a controllare in etichetta la zona di provenienza, la Gsa. Quelle italiane sono le Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che le attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta).
Il fermo pesca prevede che l’attività sia bloccata nel tratto da Trieste ad Ancona dal 31/7 al 10/9; successivamente da San Benedetto del Tronto a Termoli dal 28/8 all’8/10. Poi ancora da Manfredonia a Bari dal 31/7 al 10/9 per le unità inferiori ai 12 metri. Sempre da Manfredonia a Bari dal 31/7 al 29/8 con l’aggiunta di 10 giorni lavorativi di fermo anche non consecutivi entro il 31 ottobre. Quindi da Brindisi a Civitavecchia dall’11/9 al 10/10 e da Livorno ad Imperia dal 2 al 31/10. Le misure riguardanti il fermo pesca prevedono indennità sociali straordinarie nel limite di 11 milioni di euro. Queste tutelano i pescatori che in quei periodi non guadagnano.
Nei mesi scorsi, la Protezione Animali di Savona ha lanciato un appello che riguarda il consumo a tavola di pesce. Siamo abituati a consumare e gustare una larga varietà di specie ittiche. Però non consideriamo i danni che vengono arrecati alle stesse ed ai loro ecosistemi durante i processi di pesca. La Protezione Animali della città ligure fa sapere: “E’ necessario mangiare meno pesce, non pesce più sostenibile; incoraggiare semplicemente la gente a mangiare specie ritenute poco apprezzate non ridurrà la pressione sugli stock ittici, produce solo una crescita della quantità totale di pesce mangiato, e quindi pescato”.
Anche l’ENPA si associa ricordando la necessità di importare pesce. Se così non fosse si causerebbe lo spopolamento repentino delle proprie acque nel Tirreno, nell’Adriatico e nello Ionio. Sotto accusa c’è lo sfruttamento eccessivo di circa i tre quarti degli stock europei di pescato. Accuse anche all’inquinamento e ad altri fattori legati alla pesca per diletto, di carattere sportivo e professionale. Non viene concesso il tempo necessario per il pesce dei nostri mari di riprodursi che subito viene sottoposto alla pesca indiscriminata, e questo ne riduce di molto il numero. Si arriva a parlare anche di paesi come Norvegia e Giappone, che se possibile fanno ben di peggio pescando di tutto e di più 365 giorni all’anno.
GM
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