Due cani adottati e poi riportati al canile: il triste destino che accomuna la vita di Ettore e Artù a quella di molti altri cani “usa e getta” anche dopo l’adozione
Non c’è bisogno di allontanarsi troppo da casa, per scoprire che anche il vicino della porta accanto, può essere protagonista di abusi e violenze sugli animali. Il maltrattamento degli animali non è solo fisico può essere anche psicologico. Purtroppo, questo tipo di violenza, spesso passa in secondo piano, perché meno sensazionalistica.
Cionondimeno, esperienze negative come la violenza psicologica provocano altrettanti traumi, spesso devastanti per il cane. Che sia l’abbandono, l’indifferenza, l’isolamento sociale: i cani sono vittime silenziose di una condizione di cui soffrono senza poter esprimere il loro disagio e lentamente iniziano a morire dentro. Così è il caso di cani adottati e riportati in canile. Sono davvero poche le persone che sanno parlare il linguaggio canino e per le quali è sufficiente uno sguardo per capire cosa sta comunicando l’animale. Basta anche una fotografia.
La storia di due cani, Ettore e Artù è rimbalzata sui social media. Due vite paralleli accomunate da un destino molto simile: due cani adottati e riportati in canile dai nuovi proprietari con scuse senza senso.
Nel caso di Ettore, tutto sembrava essere andato alla perfezione. Arrivato nelle mani di una volontaria, Giovanna Riccardelli, a Rocca Priora nel Lazio, che lo ha curato da quando aveva solo sei mesi. Dopo aver pagato le cure, il rifugio per due anni ed essersi presa amorevolmente cura di lui, è arrivata la tanto attesa adozione. “Abbiamo fatto ben tre incontri pre-affido con tutta la famiglia”, spiega la volontaria. Sembrava tutto perfetto. Il primo incontro è stato con tutta la famiglia madre, padre e due figli grandi, il secondo incontro solo con il padre e la figlia, andati al rifugio, portandolo a spasso e interagendo con lui. Poi, la madre ha incontrato Ettore, sempre al rifugio e infine l’ultimo incontro si è svolto a casa, con tutta la famiglia riunita, felice di vederlo. Al termine della giornata, i nuovi proprietari hanno chiesto alle volontarie di lasciargli Ettore. E così è stato. C’era intesa e unione. Lui è un cane mansueto e dolce, gioioso anche se vivace per la sua età e per l’incrocio con il labrador.
Poi, a distanza di qualche giorno, si sono verificati diversi episodi che hanno fatto insospettire i volontari. Ettore si era addormentato sui piedi nudi della madre di famiglia, la quale stava sonnecchiando sul divano per poi svegliarsi, sobbalzando, sentendo il cane sui suoi piedi. Lui voleva solo starle vicino, pensava che volesse giocare invece, non è stato così. Con il passare dei giorni, i nuovi padroni hanno chiamato continuamente i volontari fino a quando dopo 19 giorni di adozione, non ha riconsegnato Ettore sostenendo che la madre “ha scoperto di avere la cinofobia che la portava ad avere un terrore crescente nei gesti normali di un cane”.
Quello che ha denunciato la volontaria è che stranamente, questo problema non era emerso “durante i normali colloqui di pre-adozione ma men che mai durante i lunghi ( 3/4 ore per volta) e numerosi incontri con Ettore”.
“Zia, ma dimmi, dov e’ che ho sbagliato? NON CAPISCO… Cosa ho fatto di male? Io sono stato bravo proprio come tu mi hai detto di essere, sono stato gioioso e solare ma diligente, in casa non ho rovinato nulla, non ho mordicchiato né sciupato nessuna cosa. Quando rientravamo dalla passeggiata me ne andavo tutto buono buono sulla mia copertina, lì… nell’angolo che loro avevano scelto per me; Ho cercato in tutti i modi di piacergli ma PERCHE’ MI HANNO MANDATO VIA? Cosa c’e di sbagliato in me??”, scrivono i volontari, pubblicando il post di Ettore.
Riportando Ettore al rifugio, la Riccardelli è stata colpita dalla tristezza che ha adombrato gli occhi luminosi di Ettore. Era un cane allegro, vivace con lo sguardo pieno di gioia. Quando lo ha ripreso, il suo sguardo era “triste, velato”. E’ quello che accade quando un cane viene tradito nella sua speranza, deluso e incompreso.
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Artù, abbandonato dopo la separazione
La storia di Artù è simile a quella di Ettore. Un bellissimo cane maremmano, adottato da una giovane coppia affiatata. Dopo tre anni dall’adozione, però tutto è vacillato. Il sogno di una famiglia, svanisce al ritorno di una vacanza. Arriva la separazione e Artù subisce quello che si chiama il classico isolamento sociale. La padrona, rimasta sola, usciva dalla mattina alla sera per lavoro. Artù restava relegato in un piccolo cortile, da solo, tutto il giorno. Con il passare delle settimane, la giovane donna sopraffatta ha chiamato i volontari, spiegando che non si poteva più occupare del cane e che lo voleva restituire. Le volontarie avevano concordato con lei un giorno per ritirare Artù quando poco dopo ricevono una telefonata con la quale la donna riferisce che il cane era stato rubato da casa. Le volontarie immediatamente lanciano le ricerche per Artù. Disposte a far intervenire uno specialista con drone e un conduttore cinofilo con cani da ricerca per cui avrebbero speso di tasca propria oltre mille euro, pur di ritrovare Artù. Mentre stavano cercando il cane in un campo nomadi, isolate nel nulla, arriva una telefonata da un vivaio che riferiva di aver ritrovato il cane. Le due donne corrono al vivaio dove poco dopo arriva un furgone trasporto animali vivi, da dove scende un pastore che apre lo sportellone del mezzo e scarica come un sacco Artù.
Quello che non si sarebbero mai immaginato è che Artù per oltre 20 giorni è rimasto in uno stato catatonico. Non reagiva a niente, neanche al cibo. Poi, ad un tratto ha iniziato a sviluppare la claustrofobia, non voleva più restare chiuso nel box. L’isolamento sociale che aveva vissuto dopo la separazione dei padroni si è rivelato una tortura psicologica che lo aveva cambiato nell’animo, provocando in lui dei veri e propri attacchi di panico.
Un cane che era un gioiello, sottolineano le volontarie, “capace in pochissimo tempo di creare un legame solido con l’essere umano, purché questi gli dimostri a sua volta rispetto e comprensione, pur conservando la sua innata ed istintiva autonomia e capacita di forte spirito d iniziativa. Un cane da romanzo: fiero, leale, amabile, simpatico e ironico”. Purtroppo non è stato compreso e i proprietari non hanno rispettato le esigenze psicofisiche della razza. “Ha subito un forte stress non solo provocato dalla costrizione fisica, ma anche per la mancanza di attività”, denunciano le volontarie che hanno speso oltre 500 euro al mese, per pagare il rifugio e le medicine naturali per aiutarlo a superare gli attacchi di panico. Le volontarie hanno così deciso di rivolgersi a un comportamentista che ha dato dei suggerimenti per tranquillizzare Artù.
In pieno periodo di pandemia, una giovane educatrice cinofila, si recava un giorno su due, presso il rifugio, per aiutare Artù a superare il suo trauma, sfidando il lockdown. Un percorso di recupero non coercitivo, basato su un approccio cognitivo che si basa sulla conoscenza del cane e su un rapporto di fatto di rispetto, fiducia e collaborazione. Fondamentale, nel caso di danni arrecati per “maltrattamento psicologico”.
Per entrambi questi due cani adottati e riportati in canile, adesso, le volontarie sperano in un’adozione del cuore, mentre restano ancora numerosi gli interrogativi sul perché sia così difficile per molte persone capire cosa vuole un cane e come sia possibile ancora oggi, che questi animali siano visti come oggetti “usa e getta” per i quali non vale la pena fare dei sacrifici, indifferenti ai loro sentimenti e bisogni.
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C.D.