L’orrore della cattività dei delfini nei parchi acquatici
Si chiama sfruttamento degli animali ai fini dell’intrattenimento. Animali, appartenenti a specie selvatiche, prelevati barbaramente dal loro habitat e separati dalle loro famiglie per essere poi addestrati e rivenduti ai cosiddetti “delfinari” o “parchi acquatici”. Difficilmente un delfino si riproduce in cattività per cui la maggior parte degli esemplari che si vedono negli spettacoli sono stati prelevati in natura.
Non si tratta di un bello spettacolo come ad esempio il massacro che avviene ogni anno nella Baia di Taiji in Giappone. In base a quanto emerso e reso noto dalle organizzazioni che denunciano questa caccia ai delfini, ogni esemplare dalla cattura all’addestramento, costerebbe circa 400mila euro ai parchi acquatici. Un mercato florido e redditizio che non cessa di fronte alla richiesta.
Tuttavia, quello che non viene mostrato è le condizioni di salute di questi animali, strappati dalla loro famiglia e imprigionati nelle vasche. Sviluppano dei tic nervosi e forme depressive. Un filmato, registrato all’Umi Kirara Aquarium nei pressi di Nagasak, in Giappone, dagli attivisti della Ric O’ Barry’s Dolphin Project mostra l’orrore che vivono i delfini negli acquari.
Un esemplare, disperato, esce dalla vasca e si lancia nel bordo, emettendo lamenti di fronte alla folla di visitatori
L’esemplare si lancia sul bordo e inizia a contorcersi in modo innaturale, emettendo dei suoni e lamenti profondi. Un altro esemplare salta fuori dall’acqua e si mette dietro al delfino, immobile, come se volesse tranquilizzarlo.
Un filmato che accende di nuovo i riflettori sulle condizioni disumane di detenzione di queste specie selvatiche marine come delfini e orche. Animali abituati a vivere in spazi infiniti e a percorrere anche centinaia di chilometri al giorno, condannati a vivere in piccole vasche.
Animali che sviluppano forme di stress arrivando anche ad autolesionismo. “I delfini sono esseri complessi e senzienti. La cattività non può rispettare i loro bisogni fisici e comportamentali. Ci sono stati casi di delfini che, in cattività, hanno addirittura smesso volutamente di respirare”, ha spiegato la biologa Valentina Braccia di Creature del Mare, ad Adnkronos.
Viene infatti ricordato che Flipper, il delfino famoso per la serie degli anni Sessanta, morì proprio per asfissia auto-indotta, smettendo di respirare tra le braccia del suo addestratore, Ric O’ Barry che, da quel giorno ha cambiato la sua vita, abbandonando gli acquari per dedicarsi alla difesa della specie.
Ecco il video:
C.D.
Amoreaquattrozampe è stato selezionato dal nuovo servizio di Google News, se vuoi essere sempre aggiornato dalle nostre notizie SEGUICI QUI
Una volta conosciuto non lo dimenticherete mai: tutto sul Chinese Crested Dog, dalle caratteristiche fisiche…
Come preparare il panettone per il cane: un goloso dolce fatto in casa con zucca…
È giusto per la sua salute dare il pesce al gatto? Quale tipo è più…