“È molto raro trovare segni di Alzheimer nel cervello non umano”, ha affermato il professor Lovestone, che è anche ricercatore nel Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford e leader del settore demenza al Biomedical Research Center. “Questa è la prima volta che qualcuno ha trovato prove così evidenti di placche e grovigli proteici associati alla malattia di Alzheimer (MA) nel cervello di un animale selvatico”.
Gli esseri umani ad esempio sono quasi gli unici animali in grado di vivere per molto tempo dopo svariate riproduzioni, La fertilità negli umani, soprattutto nelle donne, diminuisce notevolmente intorno ai quarant’anni ma le persone continuano a vivere fino a 110 anni. Gli altri animali tendono a morire poco dopo la fine dei loro anni fertili, ad eccezione delle orche che vanno in meno pausa e svolgono il ruolo di “nonne”. Pare che l’incidenza di vivere una vita lunga dopo aver prolificato sia legata alla MA e una delle specie fin’ora che ci accomuna in questa particolarità è proprio il delfino.
I delfini in questione sono di razza stenella striata e tursiope e hanno riportato lesioni encefaliche sovrapponibili a quelle osservate nel cervello di pazienti umani con malattia di Alzheimer, come dimostrato da una ricerca americana pubblicata su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.
La veridicità di questo studio trova conferma in quello del dott. Giovanni Di Guardo, docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria alla Facolta’ di Medicina Veterinaria dell’Universita’ degli Studi di Teramo, pubblicato sulla stessa rivista. Il lavoro riporta che gli animali spiaggiati, appartenenti a due specie cetologiche ampiamente diffuse nel Mediterraneo, mostravano lesioni encefaliche sovrapponibili a quelle osservate nel cervello di pazienti umani con malattia di Alzheimer, vale a dire la “presenza di depositi e placche di beta-amiloide, nonche’ di “aggregati neurofibrillari di proteina tau”.
Il patologo aggiunge inoltre che: “Al di la’ del fatto che si tratta della prima descrizione di una tale neuropatia centrale nei cetacei e, piu’ in generale, in qualsivoglia specie animale selvatica. Questo studio riconosce il suo principale elemento di forza nell’identificazione della stenella striata e del tursiope quali nuove specie potenzialmente in grado di “ricapitolare” le caratteristiche neuropatologiche e, presumibilmente, anche i fondamentali aspetti neuropatogenetici tipici della malattia di Alzheimer. Ne consegue, che i delfini potrebbero candidarsi come validi “modelli di neuropatologia comparata” per lo studio della malattia di Alzheimer.”
L’insulina regola i livelli di zucchero nel sangue e stabilisce una complessa cascata chimica nota come «segnalazione dell’insulina». Mentre le alterazioni nella segnalazione dell’insulina possono causare il diabete nelle persone e negli altri mammiferi, i lavori scientifici precedenti hanno rilevato anche che la restrizione calorica estrema in alcuni animali (ad es. topi e moscerini della frutta) altera la segnalazione dell’insulina, e prolunga la vita utile degli animali fino a tre volte.
Il professor Lovestone afferma che l’insulina che viene prodotta dal pancreas nel caso di diabete sia in qualche modo correlata con la presenza di Alzheimer, per cui chi soffre di diabete tende maggiormente a soffrire di MA, per cui la stessa formula dovrebbe essere per gli animali.
Afferma inoltre che: “Il nostro studio suggerisce che i delfini e le orche (che hanno anch’esse una lunga vita post-fertilità) sono simili agli umani in molti modi; hanno un sistema di segnalazione dell’insulina che li rende un modello interessante di diabete e ora abbiamo dimostrato che il cervello dei delfini mostra segni di Alzheimer identici a quelli osservati nelle persone”.
“Al momento, anche nei topi che sono progettati geneticamente per avere le placche associate all’MA, non ci sono grovigli, e pochi danni alle cellule cerebrali. Questo rende difficile trovare nuovi ‘bersagli‘ per curare la malattia, nonché studiare come un potenziale farmaco può cambiarla.
“Ma se l’alterazione della segnalazione dell’insulina può rendere l’animale più suscettibile all’MA, possiamo generare dei topi che sono un vero modello della malattia, da testare per trovare nuovi trattamenti“.
B.M
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