A distanza di due anni è arrivata la citazione in giudizio per nove allevatori di dogo argentini, tra i quali quattro proprietari di cani che avevano partecipato con i loro rispettivi esemplari a combattimenti illeciti tra cani e cinghiali che si svolgevano all’interno di un agriturismo, gestito dalla Società Agricola Bradi Selvaggi e Bio S.S. nel Comune di Cagli, nella provincia di Pesaro e Urbino. Lo scorso 13 ottobre, dopo due anni dal blitz il Giudice di Urbino ha finalmente emesso il decreto di citazione a giudizio con l’accusa di concorso nel maltrattamento di animali per aver “promosso ed organizzato nonché diretto il combattimento non autorizzato tra animali, nello specifico tra cani e cinghiali”.
Dalle indagini della magistratura è emerso che quattro lombardi appassionati di dogo argentino si erano recati nel maggio 2014 con i loro cani nell’agriturismo per farli combattere nell’ambito di eventi organizzati da chi gestiva l’agriturismo e che venivano filmati. Inoltre, la procura di Urbino durante le indagini preliminari è riuscita ad ottenere il sequestro di alcuni esemplari coinvolti nella lotta al cinghiale nel maggio 2014. Tuttavia, nei giorni scorsi, gli animali, ritenuti dal tribunale “in buone condizioni di salute, senza segni di ferite da combattimento o altre lesioni” sono stati restituiti ai proprietari.
Anche se l’avvocato difensore ha tenuto a precisare che i cani era tenuti bene e che i proprietari erano contenti di avere di nuovo i loro cani a casa, all’epoca dei fatti, durante le perquisizioni era stato trovato un dogo con cicatrici recenti che erano state trattate chirurgicamente e “compatibili con gli eventi documentati”.
La pm Simonetta Catani ha definito il tipo di combattimento “una crudeltà senza necessità”, sottolineando tra l’altro che i combattimenti terminavano sempre con la morte del cinghiale.
All’epoca del sequestro, come riportava nel novembre 2014, il corriere.it, il commissario Simone Cecchini della Forestale aveva spiegato che “i combattimenti avvengono sempre con lo stesso iter: un cinghiale viene liberato dentro una recinzione dove vengono introdotti i i cani che subito lo spingono verso un angolo per immobilizzarlo e quindi iniziano a morderlo sul muso e sulle zone posteriori. Quando l’animale è finito e sanguinante entrano in azione gli addestratori che prendono il cinghiale per le zampe posteriori e incitano i cani ad addentarlo ancora fino alla morte. Le scene spesso vengono riprese con i cellulari dai presenti”.
Nell’ambito del processo due degli imputati, residenti in provincia di Perugia, dovranno anche rispondere dell’accusa di avere “sottoposto un animale, nella fattispecie un cane di razza dogo argentino, a sevizie e comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”.
Le associazioni Enpa e Legambiente sono state ammesse come parti civili al processo che inizierà il prossimo anno, il 14 novembre 2017.
Purtroppo in molti paesi è ancora consentita questa pratica come forma di intrattenimento contro la quale si sta battendo da anni la Wpsa (organizzazione protezione animali internazionale) che è riuscita a ridurre questo fenomeno in paesi come il Pakistan e in India dove vi è l’antica tradizione di far combattere i cani contro animali selvatici come gli orsi detti i “bear baiting”. Il dogo argentino è una razza selezionata nei primi del Novecento per la caccia al cinghiale e il puma, grazie alla sua forza fisica.
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