Nei giorni scorsi, vi abbiamo parlato di quanto accaduto a Netro, nel biellese. Qui, un cane è stato visto girovagare smarrito in paese. L’animale indossava un collare elettrico, quelli che su impulso danno la scossa. Glielo aveva messo il suo proprietario, come successivamente accertato. In questo caso, i carabinieri hanno denunciato l’uomo per maltrattamento di animali. Peraltro, come sottolineato, trovare in Rete un collare elettrico sembra essere molto semplice. E ovviamente a basso costo.
Ora arriva una sentenza della Cassazione, la 30155/17, che è destinata a provocare molte reazioni polemiche. Il 12 settembre dello scorso anno, il Tribunale di Vasto ha condannato un cacciatore alla pena di Euro 1.050 di ammenda. L’accusa nei suoi confronti era di “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura”. Aveva tenuto legato al collo di due cani di sua proprietà un collare elettrico acceso e funzionante. L’uomo ha fatto ricorso in Cassazione e la Suprema Corte gli ha dato ragione, chiedendo un nuovo processo d’Appello.
Secondo la Cassazione, non sarebbe stato possibile evincere “né la condizione di detenzione dei cani contraria alla loro natura”, né “le conseguenze in concreto patite dai due animali per effetto del collare elettronico indossato”. Gli ermellini spiegano che “il solo fatto di essere stato trovato acceso e funzionante non consente di presumere possa aver causato le conseguenze indicate dalla norma incriminatrice, costituite da ‘gravi’ sofferenze, senza alcuna verifica della qualità, della portata e dell’intensità delle scariche azionate attraverso il telecomando di cui era in possesso l’imputato, di cui pertanto non sono state appurate le modalità di utilizzo”.
Insomma, la Suprema Corte rileva che è impossibile capire se i cani abbiano realmente sofferto. La sentenza d’Appello, sostengono gli ermellini, “deve ritenersi inficiata da manifesta illogicità avendo posto in relazione le acquisite risultanze istruttorie”. Il fatto che i due cani “indossavano un collare elettronico attivo e perfettamente funzionante a fine di addestramento” non avrebbe in definitiva come naturale conseguenza la violazione del reato di maltrattamento di animali previsto dall’art. 544-ter c.p.
E nemmeno, come in questo caso, quella dell’art. 727 che punisce invece l’abbandono di animali o la “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura”. Si tratta di una sentenza complessa che rischia però di determinare un pericoloso precedente.
GM
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