Il disastro della centrale nucleare di Chernobyl del 1986, del quale si è spesso raccontato in libri, film e videogiochi, nasconde dei lati sconosciuti all’opinione pubblica. Come il fatto ad esempio che nei pressi del sito teatro dell’immane disastro avvenuto ormai 31 anni fa ci siano numerosi cani randagi radioattivi a tutti gli effetti, a causa dell’esposizione alle scorie da parte delle loro precedenti generazioni. Ne avevamo parlato qualche mese fa, in vista dell’uscita di un documentario, ma la vicenda ritorna di stretta attualità. Infatti, il quotidiano inglese ‘The Guardian’ ha pubblicato un’inchiesta sulla situazione.
L’inviata Julie McDowall, accompagnata da Igor, che conosce bene questi posti, va a incontrare i poveri cani vittime di radiazioni. Uno di questi è Tarzan, dice di lui Igor: “È un randagio che vive nella zona di esclusione. Sua madre è stata uccisa da un lupo, quindi le guide lo accudiscono, smuovono alcuni bastoncini, giocano con lui. È solo un bambino, davvero…”. Tarzan non è solo. Ci sono circa 300 cani randagi nella zona di 2.600 km². Vivono tra l’alce e la lince, le lepri e i lupi che qui hanno trovato una casa. Ma mentre i cavalli mongoli e gli orsi bielorussi sono stati recentemente introdotti nella zona, e altri animali sono arrivati per opportunità, i cani sono nativi.
Dopo il disastro di Chernobyl nel 1986, Pripyat e i villaggi circostanti furono abbandonati e ai residenti non fu permesso di portare in salvo i loro animali domestici. Secondo la tradizione orale, questi cani per sfuggire al disastro “ululano, cercando di salire sugli autobus”. Per anni, hanno provato in tutti i modi di raggiungere le loro famiglie in fuga, seppure fosse difficile. I cani trasportano spesso livelli aumentati di radiazioni nella loro pelliccia e hanno un’aspettativa di vita ridotta. La vita non è facile per i randagi di Chernobyl. Non solo devono sopportare i rigidi inverni ucraini senza un adeguato riparo, ma appunto ci sono le radiazioni. La loro aspettativa di vita è di sei anni.
Alcuni di loro hanno però imparato a essere furbi. I cani che vivono vicino ai posti di blocco della zona hanno delle capanne fatte per loro dalle guardie, e alcuni sono abbastanza saggi da radunarsi vicino al caffè locale, avendo appreso che una presenza umana equivale al cibo. Nadezhda Starodub, una guida specializzata, dice che i visitatori (non ci sono “turisti” nella zona) amano i cani. Spiega: “La maggior parte delle volte le persone li trovano carini, ma alcuni pensano che potrebbero essere contaminati e quindi evitano di toccare i cani”. Si tratta di un allarmismo forse inutile: non è infatti detto che i cani possano trasmettere radiazioni.
Mentre i cani ricevono cibo e giocano coi visitatori, i loro bisogni di salute sono soddisfatti da Clean Futures Fund, un’organizzazione no profit statunitense che aiuta le comunità colpite da incidenti industriali. Questa ha creato tre cliniche veterinarie nella zona, tra cui una all’interno della centrale di Chernobyl. Le cliniche trattano le emergenze e rilasciano vaccinazioni contro rabbia, parvovirus, cimurro ed epatite. Stanno anche castrando i cani.
GM
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