Per qualcuno è tradizione, ma per noi è una vergognosa pratica: un cervo morto è stato trasportato nella navata centrale di una chiesa. Il motivo? Andava celebrato Sant’Uberto, il protettore dei cacciatori. Insomma, ancora una volta, nel nostro Paese, la passione per la caccia raggiunge i suoi eccessi, con una tradizione accompagnata da costumi tipici e suonatori di corno. Che però indigna, e non poco. L’episodio del cervo morto e portato in chiesa è avvenuto a Tarvisio, in provincia di Udine. Si tratta della prima volta che viene ‘sacrificata’ questa razza di animale, anche se la tradizione si ripete di anno in anno.
A fare da contorno anche i cori alpini e le preghiere, mentre la carcassa dell’animale era in bella vista. Peraltro sistemata su una specie di slitta e decorata con un letto di aghi di pino. Inoltre, la messa è stata occasione per celebrare il fatto che nella riserva Melzi è ripresa l’attività venatoria. In passato, era considerata un’area protetta, ora di fatto non più. L’episodio del cervo in chiesa è stato denunciato da un quotidiano locale, ‘Il Messaggero Veneto’, che ha pubblicato la foto in prima pagina. Uno scatto che in poco tempo ha fatto il giro dei social network. Suscitando, naturalmente, l’indignazione degli animalisti.
In prima linea, in questa protesta, c’è Guido Iemmi, responsabile istituzionale regionale della Lega Anti Vivisezione Onlus: “Sono esterrefatto da questa iniziativa”, ha detto al ‘Messaggero Veneto’. Quindi ha proseguito: “Qui si tratta di un animale morto, che doveva essere trattato come tale, dandogli una degna sepoltura e non esposto come un trofeo, tanto meno in una chiesa”. Insomma, altro che religione, questo è “un macabro rito pagano. Sono basito, soprattutto in un momento nel quale la discussione attorno all’attività venatoria è quanto mai aperta”.
Gli fa eco il presidente regionale di Legambiente, Sandro Cargnelutti: “Portare in un luogo sacro un animale morto mi sembra una pratica inopportuna, anche alla luce della grande sensibilità attuale sul tema della caccia. Sono perplesso e qualche nostro associato mi ha già fatto pervenire le sue rimostranze”. Sconcertante la presa di posizione a difesa dell’iniziativa di Claudio Klavora, direttore della Riserva di Tarvisio-Malborghetto: “Mi aspettavo che ci fossero reazioni contrarie, ma ognuno è libero di pensarla come vuole e io non voglio fare polemiche con nessuno. Dico solo che quanto fatto segue il percorso di una tradizione cominciata nel 1888, quando è nata la nostra Riserva di caccia, e che in futuro continueremo a mantenere”. Insomma, trattandosi di un’usanza secolare, sarebbe giusto tenerla ancora in vita.
GM
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