Una vicenda accaduto nel mese di aprile del 2014 ad Irgoli in provincia di Nuoro in Sardegna, dove un pastore di 24 anni e il figlio di 16 anni hanno punito un cucciolo di cane perché infastidiva le loro pecore. Il povero animale, chiamato Amore, è stato legato al gancio del traino della loro automobile e trascinato lungo una strada asfaltata, fino ad essere ridotto in fin di vita. Il caso sollevò un’ampia polemica sui social, diventano un simbolo per la tutela degli animali, provocando una reazione a catena per cui è stata creata una pagine Facebook Vogliamo giustizia per il cane ucciso ad Irgoli e una petizione su Firmiamo.it.
Un fatto di cronaca agghiacciante, rimbalzato sulle pagine dei quotidiani, per cui la stessa Elisabetta Canalis denunciò il proprio sdegno, mentre la Lega Nazionale per la Difesa del Cane aveva annunciato di costituirsi parte civile nel processo giudiziario a carico dei due responsabili definiti “mostri”.
Oltre alla presidente della sezione di Alghero della Lega nazionale per la difesa del cane, Eva Bianchi, si sono costituite altre cinque associazioni come “persona offesa”, tra cui la presidente dell’Enpa, Carla Rocchi, la Lega anti-vivisezione onlus, il presidente dell’Anpana, Francesco Pellecchia, la Lega anti-vivisezionista, il vicepresidente della Lega anti-vivisezione, Roberto Bennati.
A distanza di due anni, il pastore Giuseppe Piredda, 43 anni, sorpreso dai carabinieri mentre trascinava il cane, fermato e denunciato dai militari, è chiamato il prossimo primo febbraio a comparire presso il Tribunale di Nuoro davanti il giudice monocratico Daniela Russo e dovrà rispondere all’accusa di uccisione di animali con l’aggravante della crudeltà (544 bis c.p.) e resistenza a pubblico ufficiale.
Secondo i carabinieri del nucleo radiomobile di Siniscola e la Procura, Piredda, “con crudeltà e senza necessità, cagionava la morte di un animale, segnatamente un meticcio di circa otto mesi che legava, tramite una fune, al proprio autoveicolo, per poi trascinarlo, ad elevata velocità, sul manto stradale”. Inoltre, la Procura ha contestato all’allevatore anche l’aggravante di aver commesso il fatto con un minorenne.
“Quel cane non era mio, ma un randagio che da tempo imperversava nella zona e uccideva il bestiame. Io, quel giorno, l’ho beccato mentre azzanava una mia pecora. Per questo, ho deciso che avrei dovuto allontanarlo subito da quella campagna. Così, l’ho legato alla fune e ho cercato di allontanarlo da là”, ha sostenuto il pastore, che non si è mai tirato indietro, affermando che la sua è stata un’operazione maldestra, in quanto mentre trascinava quella povera bestiola, l’uomo è andato fuori strada con la sua automobile, suscitando l’intervento delle forze dell’ordine che hanno scoperto la crudele azione di cui è ora accusato.
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