Riflettori accesi sulla tutela dell’ecosistema, della biodiversità e della fauna selvatica.
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“La perdita di biodiversità è un killer silenzioso. È diverso dal cambiamento climatico, dove le persone sentono l’impatto nella vita di tutti i giorni. Con la biodiversità, non è così chiaro, ma nel momento in cui senti ciò che sta accadendo, potrebbe essere troppo tardi.”. Dichiara Cristiana Paşca Palmer segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite (Onu) sulla diversità biologica.
Ben 195 stati e l’UE si incontreranno dal 13 al 29 novembre, a Sharm el Sheikh, in Egitto, per discutere sulla gestione degli ecosistemi e della fauna selvatica nel mondo. Un appuntamento con il quale l’Onu intende avviare un confronto tra i paesi con lo scopo di arrivare ad un nuovo accordo nel 2020 a Pechino.
L’impatto dell’attività umana sul pianeta è devastante. Non solo inquinamento che sta provocando in modo irreversibile cambiamenti climatici, ma anche perdita dell’habitat di molte specie e infine, l’inesorabile perdita della biodiversità, custode silenziosa della vita sul pianeta.
In questo scenario, esperti di tutto il mondo lanciano un monito affinché i paesi portino maggiormente attenzione all’ecosistema e alla sua biodiversità.
In tal senso, è stata stillata una classifica dei paesi che rappresentando il serbatoio della biodiversità, preservando ben il 70% del territorio selvaggio in tutto il mondo.
Prima in classifica la Russia, con circa 15 milioni di chilometri quadrati per gli animali selvatici dove l’attività umana è totalmente assente. E’ il paese che La Russia che rivolge il maggior tutele alla fauna.
Al secondo posto, risulta il Canada, seguito da Australia, Stati Uniti e Brasile. Nelle prime dieci posizioni della classifica sono presenti anche Francia, Kiribati, Cina, Nuova Zelanda e Algeria.
Una ricerca dell’Università australiana del Queensland e della Wildlife Conservation Society statunitense accende i riflettori sul fatto che oggi il 77% delle terre emerse (escluso il continente antartico). Viene pertanto evidenziato che le terre vergini rimaste possono essere protette “solo se vengono riconosciute entro cornici di politica internazionale”.
A questo si aggiunge che solo il 13 per cento degli oceani e dei mari del mondo può ancora essere classificato “incontaminato”. Aree localizzare per lo più al Polo Nord, in Antartide e intorno ad alcune isole remote del Pacifico. Tuttavia, i ricercatori sottolineano che questi luoghi “stanno diventando sempre più rari poiché le imbarcazioni per la pesca e i trasporti commerciali marittimi stanno espandendo il loro raggio d’azione, mentre il deflusso dei sedimenti soffoca molte aree costiere”.
Ecco perché, gli studiosi, intendono sottoporre all’attenzione dei paesi di classificare queste aree come protette e che sia pertanto stabilito come un obiettivo internazionale di protezione totale degli ecosistemi originari rimasti.
C.D.
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