I parassiti del gatto costituiscono una delle maggiori preoccupazioni, in questo articolo tratteremo del tritrichomonas foetus nel gatto.
Il Tritrichomonas foetus nel gatto è un protozoo parassita recentemente riconosciuto come causa di diarrea cornica nel gatto domestico. La trasmissione dell’infezione avviene attraverso la via oro-fecale per contatto diretto tra gli animali. Motivo per cui, la tricomoniasi felina ha maggiori probabilità di interessare ambienti con più animali.
Il parassita si riproduce a livello delle cellule intestinali del colon e del retto del gatto e viene eliminato attraverso le feci nell’ambiente esterno, dove è in grado di restare in vita da poche ore fino ad un giorno a seconda del substrato nel quale si trova (es. acqua, lettiera, cibo etc), anche se la sua energia tende a ridursi a partire da 8 ore dopo l’eliminazione.
La trasmissione avviene per via oro-fecale attraverso l’ingestione di cibo ed acqua contaminati, ma soprattutto attraverso il contatto con la lettiera che l’animale condivide con animali infetti. Il parassita per lo più è presente in maniera stabile, in posti come allevamenti o comunque collettive, gestite in ambienti chiusi nei quali gli animali vivono a stretto contatto tra loro, lettiere, mentre è meno presente nelle colonie feline gestite all’aperto.
Non c’è stato riscontro nello studio per osservare una predisposizione di razza ed il fatto che la sua presenza sia più frequentemente descritta in soggetti di razza, quali Abissini, Siamesi, Bengala, Maine coon, è da assoggettarlo solo allo stile di vita puramente in ambiente chiuso, di questi animali precedentemente citati.
L’infezione può interessare gatti di tutte le età, anche se un maggior numero di casi di malattia siano stati censiti in soggetti al di sotto dell’anno; negli adulti in genere il parassita tende a persistere in forma sub-clinica (ossia un’infezione che non dà sintomi clinicamente manifesti).
La presenza di Tritrichomonas foetus è spesso associata ad altri parassiti di natura protozoaria, primo fra tutti Giardia duodenalis (agente della giardiosi felina), ma anche Cystoisospora spp. (agente della coccidiosi felina), e questo contribuisce ad influenzare sia il decorso clinico che la risposta terapeutica. Il potere esercitato da Tritrichomonas è legato alla sua azione diretta e tossica a carico delle cellule epiteliali intestinali, che induce una progressiva disgregazione della mucosa.
La diagnosi di tritrichomonosi non può basarsi solo sui sintomi, riconducibili esclusivamente ad un’affezione del grosso intestino, ma deve obbligatoriamente fondarsi su esami parassitologici specifici, che il proprio Veterinario di fiducia potrà effettuare dopo un’accurata visita del gatto.
I sintomi sono spesso discontinui e possono variare da un’infezione sub-clinica ad una forma di diarrea cronica che può persistere anche mesi. Sono regolarmente descritti fenomeni di abbondante eliminazione di feci del gatto con sangue vivo e muco, alternati a tenesmo (ossia momenti in cui l’animale mantiene a lungo nella lettiera per defecare pur non riuscendo ad eliminare materiale).
Nelle forme di diarrea nel gatto, persistente sono descritti casi di proctite (infiammazione del retto), incontinenza fecale ed anche la tendenza al prolasso rettale. Anche se la diarrea può proseguire per mesi, in genere i gatti tendono a conservare un buono stato di salute.
La tritrichomonosi del gatto è allo stato attuale un problema più dal punto di vista della sua gestione terapeutica, dal momento che non esiste una cura ufficiale. Viste le difficoltà legate al trattamento, il controllo della tritrichomonosi felina dovrebbe fondarsi su misure di profilassi diretta, mirate ad interrompere, soprattutto nell’ambito di realtà collettive, i circuiti di trasmissione dell’infezione; osservare un’accurata pulizia dei ricoveri e soprattutto la veloce rimozione delle feci dalle lettiere che rappresentano delle importanti misure da adottare per ridurre al minimo il rischio di (re-)infezioni.
Infine, è fondamentale esaminare sempre tutti gli animali inseriti per ultimi (soprattutto provenienti da realtà allevatoriali) per conoscerne l’eventuale condizione di portatori asintomatici.
Raffaella Lauretta
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