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Gatti

Il Giappone e i gatti: storia di un legame millenario

Il Sol Levante ha da sempre una venerazione particolare nei confronti dei felini. Ma da dove arriva questa passione? Leggende e raffigurazioni dell’animale preferito dai giapponesi

Che legame c’è fra il Giappone e i gatti? (Foto Adobe Stock)

Il gatto sbarcò sull’isola nipponica grazie alle navi da commercio provenienti dalla Cina. Non è possibile datare con precisione l’arrivo dei felini sulla terra del Sol Levante ma si stima che avvenne durante il periodo Heian fra il 794 e 1185.

Come nel resto del mondo questo animale conquistò l’uomo inizialmente per motivi puramente utilitaristici. I felini allontanavano i topi e in Giappone proteggevano gli allevamenti di bachicoltura, una delle risorse chiave del paese.

Presto riuscirono anche ad intrufolarsi nei luoghi sacri come i templi dove i monaci solevano addomesticarli per salvaguardare i preziosi e antichi manoscritti religiosi dal rosicchiamento dannoso dei topi. Ma il gatto in Giappone è anche simbolo di buona fortuna e prosperità.

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Il Giappone e i gatti: la leggenda di Oda Nobunga

Le statuette Maneki Neko derivano da un’antica leggenda dove protagonisti sono un leggendario condottiero e un gatto comune (Foto Pexels)

Tra le più antiche leggende legate al mondo dei gatti troviamo quella che vede protagonista una delle figure storiche più importati del Giappone, Oda Nobunga, dignitario e condottiero, e un ordinario felino. Un giorno il dignitario stava passeggiando insieme al samurai Naotaka quando la sua attenzione fu attirata da un gatto che sembrava chiamarlo a sé con l’ausilio di una zampa.

I due una volta avvicinatesi riuscirono a scampare ad un agguato mortale che era stato progettato ai loro danni. Da allora questo animale venne venerato come un kami, divinità dallo spirito soprannaturale legato alla fede shintoista. Da allora i Kami Neko, spirito del gatto, o Maneki Neko invasero i luoghi di culto e le abitazioni di tutte le classi sociali perché venivano considerati come spiriti saggi. 

Le statuette Maneki Neko possono assumere diverse fattezze e colorazione, e ognuna ha uno specifico significato.

Un amore regale

Insieme ai fiori di ciliegio il gatto può essere considerato simbolo della cultura giapponese (Foto Unsplash)

Il gatto riuscì con il tempo, grazie alle sue movenze eleganti e soprattutto silenziose, ad ammagliare anche i vetrici della civiltà giapponese. La prima registrazione ufficiale in cui si parla di questo animale infatti è quella riportata sul diario dell’imperatore Uda, proprietario di un felino di colore nero. Sono molte le razze di felino ad avere un manto nero.

Mentre l’imperatore Ichijo più tardi era stato fiero padrone di Myobu no Otodo, gatto che aveva a sua disposizione un’intera corte formata da sole donne che aveva il compito giornaliero di nutrirlo e vezzeggiarlo.

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Il Giappone e gatti: il demone trasformista Bakenko

La tradizione folcloristica giapponese vedi i gatti trasformarsi anche in demoni (Foto Pexels)

Un’antica leggenda narra che quando un felino ha vissuto per 13 anni nello stesso luogo e pesa più di 3,5 kg ha la facoltà di  trasformarsi in un demone dalle doti soprannaturali. Il gatto può così assumere le sembianze di un Bakenko, che in giapponese significa appunto felino trasformista o mostruoso. Primo segnale di questa mutazione era quando iniziava a camminare sulle zampe posteriori.

Ma non solo, di norma si pensava che il gatto crescesse in misura e che gli si allungasse la coda. Non a caso  la razza felina Japanese Bobtail è priva di coda. La mitologia gli attribuisce diversi poteri tra cui la facoltà di appiccare un fuoco sempre con la coda, risuscitare i cadaveri e divorare esseri umani per rubarne l’identità. Presumibilmente l’origine di questo mostro folcloristico arriva da una condizione che nell’antichità si verificava di frequente.

Durante il periodo Edo i gatti venivano alimentati con scarti di cibi umani composti da riso, verdure e cereali. Essendo però il gatto un carnivoro obbligato veniva attratto dall’olio di pesce che alimentava le lampade ad olio durante la sera e la notte. I gatti per raggiungere le lampade si alzavano sulle zampe posteriori. L’ombra allungata dei felini proiettata dalle lampade fu così in grado di scatenare un turbinio di fantasie dai tratti demoniaci.

I felini come caricatura della società

L’artista Kuniyoshi No Neko viveva con cinque o sei gatti per casa (Foto Pexels)

Come compagni di vita degli abitanti del Giappone i gatti furono ampiamente rappresentati come soggetti artistici. Catturarli durante la loro vita quotidiana affaccendati nei loro passatempi preferiti era molto comune. Kuniyoshi No Neko, uno dei più interessanti e ultimi artisti della tecnica Ukiyo-e, silografia realizzata con pregiate matrici in legno, condivideva la sua casa con cinque o sei gatti che erano per lui fonte di continua ispirazione.

Fu lui ad aggirare durante il periodo Edo la sanzione che proibiva di raffigurare soggetti particolarmente lascivi che potevano offendere la morale pubblica. Geishe, attori di Kabuki e cortigiane assunsero così le fattezze di felini umanizzati. Spesso queste opere fungevano come caricature e si impegnavano a fare satira di questi editti restrittivi contro la nascente società borghese. Ad ogni modo queste stampe furono interessate da una circolazione massiccia.

E l’accostamento uomo gatto rimase vivo nell’immaginario collettivo degli abitanti del Sol Levante da allora in poi.

C.F

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