Ci risiamo: io lo chiamo e lui non viene! Perché un gatto non risponde se lo chiamo? Ecco come capirlo ed educarlo a venire da noi.
Disobbedienza o c’è altro sotto? Fatto che sta che il gatto non risponde se lo chiamo. Per quanto la cosa possa farci immediatamente pensare alla solita abitudine dei felini di ignorare ogni nostro comando, in realtà le cause possono essere diverse e non è escluso che possa trattarsi di un problema di salute. E’ importante che il gatto obbedisca al richiamo per evitare anche situazioni spiacevoli e rischi per la sua stessa incolumità. Vediamo dunque quali sono i motivi possibili quando un gatto ignora il nostro richiamo e, soprattutto, cosa fare per educarlo ad avvicinarsi.
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Diciamolo: l’obbedienza non è proprio una caratteristica del nostro gatto! Sebbene ormai da anni sia uno degli animali domestici per eccellenza, il micio segue sempre il suo istinto primordiale e non si è mai davvero abituato ad eseguire i comandi del suo umano. A differenza del cane infatti il piccolo felino di casa si è ‘educato da solo’ ed è molto autonomo anche nelle decisioni da prendere. La risposta probabilmente è nell’origine stessa del rapporto tra uomo e gatto: il primo non ha mai trattato l’animale come un compagno o convivente, ma si serviva della sua presenza per cacciare i topi e tenere lontani i roditori dalla sua casa e dalle sue terre (leggi qui: Gatto più legato al padrone o alla casa: verità o luogo comune); allo stesso tempo al micio conveniva questa convivenza perché dall’umano riceveva un pasto e un luogo comodo per poter dormire.
Questa mancanza di obbedienza però non significa che i gatti non si legano agli umani o non riescono ad instaurare con loro legami affettivi e d’amore (Leggi qui: Il gatto mi ama? 10 comportamenti per scoprire se ti sta esprimendo amore). Il canale di comunicazione tra umano e animale passa, solitamente, attraverso il cibo: il gatto infatti si affeziona il più delle volte a colui che gli dà da mangiare.
Vediamo dunque quali sono le cause per cui un gatto non risponde se lo chiamo.
Dall’Università del Giappone sono arrivati i risultati di alcuni test eseguiti su un campione di circa 20 gatti, che hanno ascoltato una serie di voci registrate, compresa quella del padrone. Al sentire il richiamo i felino hanno risposto con il cosiddetto ‘comportamento orientato’: è proprio il loro corpo che si direziona, nella testa e nelle orecchie in particolare, verso la fonte della voce.
Aver riconosciuto la voce, anche quella del padrone, però non li ha comunque ‘convinti’ a muoversi dal loro posto. E da qui il discorso si ricollega a quello della auto-addomesticazione. Tra uomo e felino c’è sempre stata una sorta di convivenza di convenienza, ma l’umano non si è quasi mai occupato di educare il micio come un altro animale di compagnia (in primis il cane). E’ come se si fossero abituati alla presenza dell’uomo ma senza dipendere da lui: nel momento in cui non avevano più nulla in cambio (cibo e posto dove dormire) cambiavano padrone.
La mossa segreta che di colpo faccia diventare il nostro gatto obbediente non esiste. Ma dato che il richiamo spesso può essere dovuto a situazioni di emergenza e di pericolo per la salute del micio, è importante almeno tentare di farci ascoltare. E’ fondamentale usare sempre lo stesso tono di voce quando si chiama il gatto e associare il richiamo a uno snack o a qualcosa che gli piace (leggi qui: Richiamo per il gatto: cosa può essere e cosa può essere efficace). Dobbiamo fare in modo che il gatto capisca che avvicinarsi a noi quando lo chiamiamo, gli ‘conviene’ perché ad attenderlo c’è il suo cibo o il suo gioco preferito. Anche le coccole possono andare bene, purché il micio si senta premiato e coccolato per aver fatto qualcosa di buono.
Francesca Ciardiello
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