Com’è punito dalla legge il furto dell’animale domestico – e nello specifico del gatto? Cosa rischia il colpevole?
Il furto può avere ad oggetto anche un animale d’affezione; l’espressione non è del tutto felice, giacché per molte persone i nostri amici a quattro zampe sono dei veri e propri membri aggiuntivi della famiglia; insomma, tutto tranne che un oggetto. L’azione delittuosa, tuttavia, in particolare quando è rivolta a sottrarre un animale d’affezione, impone una serie di considerazioni.
Il furto è punito a norma dell’art. 624 del codice penale:
Chiunque s’impossessa di una cosa mobile altrui, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516.
Oggetto del furto, come noto, possono essere anche gli animali. Quelli che possono essere posseduti da un privato, di norma, sono riconducibili a due categorie: animali d’affezione e animali da reddito.
Non si tratta di una mera discussione priva di qualsivoglia fondamento pratica.
Fermo restando la difficoltà di classificare in maniera univoca gli animali, dati i labili confini tra le due categorie (si pensi al cavallo, classico animale da reddito che con il tempo è divenuto anche tra i principali animali d’affezione), rubare un animale da reddito e un animale d’affezione potrebbe non avere lo stesso disvalore penale.
Uno degli elementi costitutivi del reato di furto, infatti, è la volontà del colpevole di trarre profitto, per sé o per altri, con la cosa (si intenda anche il gatto) sottratta al legittimo proprietario. È altamente probabile, dunque, che il ladro di un animale da reddito voglia trarre profitto dalla propria azione criminale (con la vendita della refurtiva o con lo sfruttamento della stessa).
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Più complesso il discorso per ciò che concerne l’animale d’affezione.
Anche in questo caso vanno distinti i casi in cui l’animale viene sfruttato esclusivamente o prevalentemente per un’attività lucrativa; si pensi al cane da pastore (fermo restando che al tempo stesso possa essere considerato un animale d’affezione).
Discorso a parte va fatto per gli esemplari di razza che, a prescindere dal legame affettivo che li vincola al loro compagno umano, hanno un oggettivo e intrinseco valore patrimoniale, che va necessariamente considerato nella fattispecie penale analizzata.
E poi vi sono gli animali d’affezione che non hanno un significativo valore patrimoniale, che potrebbero essere sottratti per uno scopo non legato ad alcuna logica di guadagno: in questo caso potrebbe perfino non profilarsi il reato di furto.
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Se si valuta la gravità del fatto, quando il furto abbia ad oggetto un animale, esclusivamente sulla base del valore economico di quest’ultimo, si può giungere a conclusioni intollerabili: è di qualche anno fa la decisione del Tribunale di Roma di prosciogliere, per particolare tenuità del fatto, una donna che si era macchiata del delitto di furto del gatto dei vicini, rifiutandosi per sette anni di restituirlo.
Si registra, pertanto, un colpevole quanto grave vuoto normativo. Gli animali, giuridicamente parlando, sono ancora delle res; ma è altresì indubbio che, laddove si tratti di animali d’affezione, la loro importanza prescinde dal valore economico, trovando fondamento in un legame affettivo paragonabile a quello che ci lega ai familiari.
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