Con quale Legge Regionale la Calabria disciplina l’identificazione e la gestione delle colonie feline? Scopriamolo insieme in questo articolo.
Le colonie feline sono di norma disciplinate dalle Regioni, seppur non si tratti di una competenza ad esse esplicitamente attribuita dal Legislatore con la Legge n. 281 del 1991. Qual è l’atto normativo di riferimento per le colonie feline della Calabria? Scopriamolo insieme.
Per colonie feline si intende, generalmente, un gruppo di gatti che vivono stabilmente in un dato luogo, eletto a proprio territorio, o comunque a punto di riferimento per mangiare.
Tuttavia, dalla legislazione di una Regione all’altra, si possono registrare delle lievi differenze. Ad esempio, affinché si possa parlare di colonia felina, si richiede che il gruppo sia costituito da almeno due gatti, eppur non mancano normative che riconoscono lo status di colonia felina anche al gatto singolo.
Altre Regioni, richiedono che vi siano felini di entrambi sessi; altre ancora che gli animali siano comunque dipendenti dall’essere umano per ciò che concerne l’alimentazione. Tutte le definizioni, comunque, hanno un punto in comune: i felini non devono appartenere a nessun privato.
Dunque i gatti che formano una colonia felina vivono in libertà, quali randagi (seppur spesso seguiti da privati cittadini, i cosiddetti gattari o referenti della colonia medesima).
Ed è principio generale sancito dalla Legge quadro in materia di animali d’affezione che non possano essere allontanati dal luogo che hanno scelto per vivere, se non per ragioni sanitarie o per la tutela degli animali medesimi.
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Di norma le Regioni disciplinano le colonie feline con l’atto normativo che istituisce e regolamenta le modalità di gestione dell’anagrafe canina; ma non in Calabria.
I gatti in libertà non trovano spazio né nella L. R. n. 41 del 1990, rubricata “Istituzione anagrafe canina, prevenzione randagismo e protezione degli animali”, né in normative successive.
Invero la regolamentazione delle colonie feline non rientra tra le specifiche competenze delegate dal Legislatore alle Regioni, a differenza di quanto vale invece per l’istituzione e la gestione dell’anagrafe canina territoriale, la predisposizione di un piano di prevenzione per il randagismo, la determinazione dei criteri di costruzione e risanamento delle strutture destinate all’accoglimento degli animali (come canili e rifugi).
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Dunque come regolarsi in assenza di una normativa specifica?
Occorre innanzitutto informarsi se vi sono fonti locali che disciplinano la materia, come ad esempio un Regolamento comunale; nel caso, occorre far riferimento all’atto.
In assenza di una regolamentazione, invece, è bene seguire una serie di regole, oramai prassi consolidata, nella gestione delle colonie feline, e il cui mancato rispetto comunque potrebbe essere fonte di responsabilità civile per il referente (si pensi, ad esempio, alla mancata pulizia dopo ogni pasto della zona utilizzata quale luogo per alimentare i gatti).
Resta fermo il rispetto dei principi generali sanciti dalla Legge quadro n. 281 del 1991: il divieto di allontanamento dei gatti dal luogo in cui abitualmente dimorano, ed il divieto di maltrattamento, che è, tra l’altro, fonte di responsabilità penale.
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