Non esiste una figura di reato specifica per la zooerastia, tuttavia la condotta è punibile a norma di legge: ecco cosa ha stabilito la Cassazione.
L’ordinamento giuridico italiano ha compiuto un grande passo in avanti nella tutela della figura dell’animale con l’emanazione della Legge n.189 del 2004, che ha introdotto il Titolo IX-bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”: tra le varie figure di reato, però, non è contemplata la zooerastia, condotta tuttavia passibile di pena.
Reato di zooerastia: di cosa si tratta
La zooerastia è l’accoppiamento tra essere umano ed animale. Un atto bestiale, di cui si macchia la più pericolosa tra le creature che popolano il pianeta, a danno di esseri indifesi, e, che per ovvie ragioni, non possono essere consenzienti.
Negli ultimi anni sono stati compiuti dei passi da gigante nella tutela della figura dell’animale; con l’emanazione della Legge n. 189 del 2004, il Legislatore ha dotato il codice penale del Titolo IX-bis, rubricato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali“, il quale prevede un’ampia gamma di fattispecie a tutela dell’animale.
Tra esse si rammentano, in particolare, il reato di Uccisione di animali (art. 544-bis cp), il reato di Maltrattamento di animali (art. 544-ter cp) ed il Divieto di combattimento tra animali (art. 544-quinquies cp). Non esiste, però, una norma che disciplini il reato di zooerastia.
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Cosa ha stabilito la Cassazione
Questo tuttavia non significa che la zooerastia sia lecita.
È il giudice di legittimità ad aver stabilito la riconducibilità della condotta nella figura di reato ex art. 544-ter cp, ovvero “Maltrattamento di animali“.
La norma punisce chi, senza necessità o per crudeltà, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche; ed appunto la zooerastia è un comportamento insopportabile per le caratteristiche etologiche dell’animale.
Il colpevole è punito con la pena della reclusione, che va dai tre ai diciotto mesi, o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. L’articolo prevede altresì un’aggravante: se dal fatto deriva la morte dell’animale la pena è aumentata sino alla metà.
Non esiste, dunque, una norma che disciplini in maniera esclusiva il reato di zooerastia; non che siano mancati i tentativi di introdurre nell’ordinamento giuridico la fattispecie.
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In particolare, il Disegno di legge n. 1859 della XVII° Legislatura mirava all’introduzione, nel codice penale, dell’art. 544-ter.1; l’enunciato proposto prevedeva la pena della reclusione da uno a tre anni (o la multa da 50.000 a 160.000 euro) per chi intrattiene rapporti fisici con animali, o per chi li utilizza per produrre o commercializzare esibizioni o spettacoli aventi ad oggetto tali atti.
Il disegno di legge mirava a perseguire altresì chi pubblicizza, divulga, distribuisce (anche a titolo gratuito) o comunque si procura e detiene materiale avente ad oggetto tali atti.
Tuttavia il Disegno di legge è rimasto tale, non essendo stato tramutato in legge.
Antonio Scaramozza