Animali quali soggetti di diritto o cose? Il confine è molto più incerto di quanto si possa credere: ecco una breve analisi della questione.
Res patrimoniale, essere vivente e senziente; bene non pignorabile (principio limitato all’animale d’affezione), oggetto che si può alienare: appare evidente che, in relazione alla figura dell’animale nella società (e di conseguenza nell’ordinamento giuridico) viviamo una fase di transizione, segnata da incongruenze e contraddizioni giuridiche: ecco perché.
Non v’è dubbio alcuno che negli ultimi anni la legge abbia fatto dei passi da gigante nella tutela dei nostri amici a quattro zampe.
È ancora troppo presto, tuttavia, per poter parlare degli animali in termini di soggetti di diritto; almeno laddove si voglia circoscrivere il discorso ad un’analisi puramente giuridica.
Partiamo, pertanto, dalle basi, cominciando a definire quello che effettivamente è un soggetto di diritto: un soggetto, non necessariamente persona fisica, che può essere titolare di situazioni soggettive attive e passive; esemplificando al massimo, un soggetto titolari di diritti e di doveri.
Tralasciando la parte relativa a quest’ultimi, di cui gli animali, per forza di cosa, non possono essere investiti, resta da chiedersi se essi possano vantare diritti.
Ed è proprio qui che inizia la necessaria analisi di quelli che sono gli effetti finali di artifizi che l’ordinamento impiega nel raggiungimento dell’obiettivo di tutelare l’integrità psicofisica degli animali, senza che questo comporti lo stravolgimento dei principi giuridici fondanti la nostra società ed il nostro modo di vivere.
Perché riconoscere gli animali quali soggetti di diritto implicherebbe, come prima cosa, il superamento della concezione di patrimonializzazione degli stessi; non più res, ma soggetti, liberi di vivere in libertà, o comunque affidati alla custodia dell’essere umano (discorso valido per quegli animali che in natura non potrebbero più sopravvivere da soli).
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Ed invece gli animali, civilisticamente parlando, continuano ad essere parte del nostro patrimonio; e pertanto, al pari di qualsiasi altro oggetto, alienabile in qualsivoglia momento.
Tuttavia non è una tipologia di proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacimento; d’altronde si tratta di esseri viventi e senzienti, ed in quanto tali meritevoli di protezione.
Il Legislatore ha quindi predisposto un corpus di norme (tra cui il reato di uccisione e quello di maltrattamento di animali) a tutela dell’integrità psicofisica dell’animale.
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Di fatto, dunque, ci troviamo di fronte ad esseri cui vengono riconosciuti dei diritti (quantomeno quello a non veder lesa la propria integrità psicofisica, in assenza di esigenze dell’essere umano che l’ordinamento considera prevalenti), tuttavia pur senza essere soggetti di diritto, continuando essi a potersi annoverare nell’ambito delle res.
Il tutto grazie ad una fictio giuridica escogitata dal Legislatore.
Le norme penali che puniscono i reati contro gli animali, infatti, formalmente sono dirette a tutelare quello che è il sentimento di pietà che l’essere umano prova verso essi; quest’ultimo è il bene meritevole di tutela alla luce dei principi dell’ordinamento giuridico.
Anche se, di fatto, è l’animale a godere di tale protezione; insomma, una fictio giuridica che ne consente la tutela, mantenendo al contempo la sua condizione di res, la quale, superata, rischierebbe di stravolgere l’intero sistema.
Antonio Scaramozza
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