Scimmie e umani sono più simili di quanto pensiamo. Hanno tanti tratti in comune con noi, in quanto a comportamento, intelligenza e linguaggio. Scopriamo quali sono.
Le ricerche sulle grandi scimmie (come i gorilla, ad esempio) e le loro capacità hanno dimostrato che questi nostri vicini antenati sanno assomigliare a noi esseri umani in tanti modi. Certo, le loro capacità linguistiche a volte vengono enfatizzate anche troppo dai media, ma questi animali hanno dimostrato di comprendere molto bene degli elementi di linguaggio basilari. Le somiglianze tra scimmie e umani, comunque, sono una ricerca costante, con nuove scoperte continue. E per le altre scimmie, nostri parenti più lontani? Recenti scoperte dimostrano che anche con loro condividiamo alcuni tratti che ci fanno capire quanto siamo simili.
Umani e grande scimmie hanno la capacità di riconoscere il proprio riflesso allo specchio. Una caratteristica innata molto rara tra gli animali. Finora si è sempre ritenuto che le scimmie non siano in grado di riconoscersi, ma da un recente studio cinese del 2015, sembra che i macachi rhesus possano imparare a farlo. Quindi, anche se all’inizio non riuscivano a riconoscere sé stessi in uno specchio, hanno in seguito capito come farlo.
Questi scienziati hanno sviluppato delle tecniche di addestramento con una variazione dei test standard sull’auto riconoscimento allo specchio. Grazie a un sistema di premi in cibo quando i macachi rhesus riconoscevano correttamente il loro viso allo specchio, queste scimmie hanno letteralmente imparato a farlo, in qualche settimana.
La cosa interessante è che anche dopo la fine di questi esperimenti, le scimmie hanno dimostrato di continuare a riconoscere correttamente il proprio riflesso allo specchio, quindi non era una incapacità innata, ma più una capacità da sviluppare. Questo “divario” tra auto-riconoscimento innato e capacità non sviluppata, può insegnarci molto su come i meccanismi neurali della coscienza si sono evoluti originariamente nei primati (e in noi umani).
Quando vediamo delle persone, in modo conscio ed inconscio conserviamo tante informazioni su di loro, specialmente quando quelle facce appartengono alla nostra specie (che siano parenti, o amici, o sconosciuti). In uno studio tedesco del 2010, si è dimostrato che sia gli umani che le scimmie usano meccanismi fisici simili per elaborare le informazioni sul viso.
Hanno usato una famosa illusione, detta “Illusione di Thatcher” per studiare questo fenomeno. L’illusione di Thatcher dimostra che il nostro cervello non riesce a elaborare facilmente l’immagine di un volto quando è capovolto. In pratica, una foto capovolta che ci sembra corretta, in realtà è stata distorta prima di girarla e mostrarcela.
Comparando il comportamento e i risultati di questa illusione su scimmie e umani, si è notato che i risultati sono stati simili: le scimmie si sono comportato esattamente allo stesso modo degli umani, riconoscendo facilmente le distorsioni nelle immagini della loro stessa specie (solo se rivolte verso destra, però), ma non nelle foto di umani. I nostri cervelli, quindi, si sono evoluti in modo simile per riconoscere i volti.
Quando ricordiamo un momento della nostra infanzia vedendo una foto, o se vediamo qualcuno dopo tanto tempo, viene chiamato “riconoscimento”. Riuscire a descrivere o disegnare quel ricordo anche senza nessuna immagine che ci stimola, viene chiamato “richiamo”, che è un processo più sofisticato degli umani. Finora, si pensava che le scimmie non avessero questo tipo di processi.
Ma in uno studio del 2011 sui macachi rhesus, sono state addestrate queste scimmie per vedere riprodurre su un computer touchscreen delle forme semplici. Con questi test, si è scoperto che il ricordo, negli umani e nei primati, potrebbe essere stato un tratto adattativo prima che le specie si separassero da un antenato comune, e che il processo del richiamo nelle scimmie è parallelo a quello degli esseri umani.
Il primo test per queste scimmie, per distinguere tra riconoscimento e ricordo, aveva cinque macachi rhesus con tre scatole disegnate su una griglia. Dopo un piccolo ritardo, hanno mostrato loro la griglia con soltanto una casella contrassegnata, chiedendo alle scimmie di “disegnare” le scatole rimanenti toccando le coordinate corrette sulla griglia, completando così l’immagine originale.
Come gli umani, anche le scimmie hanno avuto un momento più difficile nel ricordare le forme durante i test di richiamo, rispetto a quelli di riconoscimento. E sempre in modo simile agli umani, questo richiamo (una volta stabilito) è svanito più lentamente nel tempo, rispetto al riconoscimento. Non parliamo quindi di apprendimento meccanico: le scimmie potevano ricordare anche nuove forme, per cui non erano state addestrate.
La maggior parte di noi esseri umani ha la capacità di percepire e processare gli stimoli, ancor prima del nostro cervello cosciente. Questa visione periferica, ancor prima di esserne consapevoli, ci consente di eludere gli ostacoli, ed evitare i pericoli. Uno studio del 2013 condotto su cinque macachi rhesus (che ormai sono le protagoniste di questo articolo, in pratica) suggerisce che anche le scimmie possiedono una percezione periferica.
Fu insegnato alle scimmie come usare un computer touch screen, toccando una delle quattro scelte mostrate brevemente sullo schermo. In un secondo test, invece, indicavano la presenza o l’assenza di un oggetto premendo un pulsante. Usando un metodo chiamato “mascheramento visivo”, i ricercatori avevano il controllo sulla facilità con cui un obiettivo visibile poteva essere elaborato.
In modo anche sicuro (con meno accuratezza se si usava il mascheramento visivo), le scimmie riuscivano ad individuare obiettivi non visibili, anche quando non potevano percepirli. Lo stesso test, usato sull’uomo, funziona esattamente allo stesso modo. Ciò dimostra che la dissociazione della visione conscia e inconscia (periferica) nelle scimmie è simile a quella degli umani.
Noi esseri umani a volte prendiamo decisioni sul valore, basandoci sull’approssimazione. Se ci troviamo davanti vari oggetti diversi, approssimiamo un valore complessivo medio per quegli oggetti. E se questo è un tratto anche utile, può allo stesso tempo metterci nei guai.
Mettiamo il caso di trovarci davanti a una scelta: preferiamo avere un frutto delizioso, o un frutto delizioso e una carota insipida? In modo sorprendente, molte persone preferiscono la prima risposta: la percezione del valore inferiore nella carota, fa sì che alcune persone scelgano in modo errato. Il motivo per cui avviene è che il nostro cervello si è evoluto per ridurre la complessità di alcuni processi decisionali, ma questo può portare a decisioni irrazionali.
Per capire perché e vedere se anche le scimmie possiedono questa tendenza, uno studio del 2012 ha analizzato i macachi rhesus. I ricercatori hanno scoperto che le scimmie preferivano cibo di alto valore rispetto allo stesso cibo abbinato ad un cibo positivo, ma di valore inferiore, proprio come gli umani. Nelle condizioni ottimali, le scimmie tendono a sviluppare tali scelte con un effetto che porta a scegliere irrazionalmente meno cibo solo basandosi sul pregiudizio del valore di tale cibo.
In uno studio del 2014, i ricercatori hanno tentato di tracciare i processi sottostanti coinvolti nel processo decisionale, per capire in che modo gli umani e le scimmie cambiano idea. Invece di analizzare un neurone alla volta, gli scienziati hanno registrato molti neuroni contemporaneamente, riuscendo così a vedere meglio le complessità e le dinamiche del processo decisionale, senza influenze causate dai metodi precedenti.
Anche per questo studio hanno lavorato con dei macachi, e li hanno sottoposti a una serie di test monitorando la loro attività neurale. I test hanno coinvolto le scimmie, che vedevano macchie casuali composte da punti in movimento su uno schermo. A un segnale inviato dai ricercatori, le scimmie potevano dare informazioni seguendo i movimenti con gli occhi, che venivano appunto seguiti.
Gli scienziati hanno tentato di prevedere i movimenti che le scimmie avrebbero fatto, basandosi solo sulla loro attività neurologica immediatamente precedente al segnale di partenza. Hanno quindi usato questo modello per studiare la dinamica delle decisioni che le scimmie prendevano in vari momenti prima che fosse dato il segnale.
Hanno così scoperto che processo decisionale non era sempre stabile, e che si stavano verificando cambiamenti mentali “nascosti”, mentre le scimmie cambiavano le loro scelte. Il modo in cui le scimmie cambiavano idea era estremamente simile a come gli umani svolgono simili compiti neurologici, relativi al processo decisionale.
Quando si tratta di alzare troppo i prezzi di un bene di marca, le scimmie tollerano questo tipo di affari non proprio corretto? Nn secondo i ricercatori di uno studio del 2014 sui valori economici delle scimmie. Si sa che i primati sociali comprendono in un certo modo i mercati, e condividono anche alcuni nostri stessi pregiudizi economici. Ad esempio, è stato dimostrato che le scimmie non amano perdere, gestiscono i rischi in modo irrazionalmente, e addirittura tendono a razionalizzare le decisioni proprio come fanno gli umani.
C’è però un’area in cui i nostri cugini primati si differenziano da noi: non si lasciano ingannare dalle marche famose e da simili stratagemmi. Si sa che molte persone sono inclini ad acquistare un prodotto più costoso rispetto ad uno pressochè identico ma più economico: basta vedere come si acquista solitamente il vino.
Per studiare questo comportamento, i ricercatori hanno addestrato un gruppo di scimmie cappuccine marroni in un mercato basato sui gettoni usati come moneta per acquistare del cibo. Hanno poi verificato se usavano il prezzo degli articoli in vendita come indicatore del loro valore.
Nonostante hanno dimostrato di capire il prezzo ed il valore dei beni, passando ad articoli più economici quando i prezzi venivano aumentati altrove, i ricercatori non hanno trovato prove che le scimmie si lasciassero ingannare quando i prezzi venivano manipolati. E se anche questo sembra significare che noi umani ci lasciamo abbindolare più facilmente di una scimmia, in realtà sottolinea la nostra comprensione più sofisticata degli aspetti sociali dei mercati. Riconosciamo i prezzi elevati (anche se possono portarci fuori strada) in quanto segnale dell’apprezzamento da parte dei nostri simili di quell’articolo. Le scimmie non hanno questo elemento sociale in questi mercati.
L’ossitocina è un ormone prodotto nella ghiandola pituitaria umana, che svolge un ruolo nello sviluppo a partire dalla nascita, quando ha un ruolo nel travaglio e nella produzione del latte materno. Alcuni studi hanno dimostrato che svolge un ruolo nel legame con i genitori, nelle dinamiche sociali e persino nell’accoppiamento. A causa del suo ruolo nello sviluppo sociale, i ricercatori sono stati a lungo interessati al suo potenziale come farmaco.
Fino a poco tempo fa, l’ossitocina non sembrava svolgere questo ruolo per i primati inferiori. Ora, alcuni ricercatori hanno trovato nuove prove che l’ossitocina aumenta davvero il comportamento sociale dei cuccioli di macaco appena nati. Facendo inalare a dei cuccioli di queste scimmie alcune dosi di ossitocina, i ricercatori hanno osservato un aumento dei comportamenti sociali positivi, ad esempio l’aumento dei gesti comunicativi con la madre, e un maggiore interesse sociale. Se convalidata, questa ricerca potrebbe dimostrare che l’ossitocina potrebbe essere un modo molto potente per trattare precocemente i bambini a rischio di funzioni sociali anormali e di disturbi dello sviluppo.
Nel 2014 è stata pubblicata una ricerca che ha mostrato come le strutture del cervello umano e di quello delle scimmie sono più simili di quanto si pensava. In particolare, i ricercatori erano interessati alle regioni della corteccia frontale ventrolaterale, responsabili di cose come il controllo del linguaggio ed i processi del pensiero più complessi in entrambe le specie. Alcuni scienziati avevano in passato sostenuto che, per sviluppare questi processi, gli esseri umani dovevano sviluppare un set di apparati neurali completamente nuovo, mente altri credevano che si potessero trovare precursori evolutivi tra i primati inferiori.
I ricercatori hanno usato la risonanza magnetica in un gruppo di 25 persone e 25 macachi per confrontare le connessioni neurali e l’architettura del cervello di entrambi i gruppi. E anche se hanno trovato sorprendenti differenze, i ricercatori sono stati sorpresi di trovare anche molte somiglianze: ad esempio, hanno trovato 11 componenti della corteccia frontale ventrolaterale che interagivano in modo simili, e con una distribuzione simile dei circuiti cerebrali.
Queste differenze potrebbero aiutare a spiegare perché le scimmie hanno risultati peggiori (o semplicemente diversi) nello svolgere attività uditive, e in aree come la pianificazione strategica, il multitasking e il processo decisionale. Le somiglianze invece possono fornire la prova che molte abilità neurali umane si sono evolute da apparati neurali conservati evolutivamente, e che in seguito hanno cambiato quelle connessioni portando a diverse funzioni.
Gli scienziati stanno iniziando a capire che l’uso del linguaggio da parte delle scimmie è molto più sofisticato di quanto si pensava finora, e anche che alcune scimmie della stessa specie hanno persino dei dialetti diversi a seconda delle aree geografiche, proprio come fanno gli umani. Gli ultimi risultati mostrano che le scimmie di Campbell hanno una distinzione tra radici e suffissi nel loro linguaggio, e che loro combinazione di questi elementi consente a queste scimmie di descrivere sia la natura di una minaccia che il suo grado di pericolo.
Nel 2014, un team di linguisti e primatologi ha studiato i richiami d’allarme delle scimmie di Campbell e ha stabilito che le scimmie avevano due parole di base: una, simile a “krak”, per il leopardo e un’altra per indicare l’aquila, “hok”. Oltre a queste “parole”, hanno anche una serie di suoni modulanti, come “-oo” che indica un pericolo generale non visibile, e “boom boom”, che indica che il richiamo non indica predatori, quindi sembra più significare “vieni qui”.
Gli scienziati affermano di aver trovato in tutto sei diversi richiami, che possono essere mescolati per fornire un significato diverso. In pratica, compongono delle vere e proprie frasi basate su questa serie di “parole”. In precedenza era stato studiato il significato dei versi dei cercopitechi verdi, che hanno tre distinti richiami per i predatori, ma non si sono trovate prove che manipolassero il significato di queste parole.
I ricercatori hanno lavorato con due gruppi di scimmie, della foresta di Tai e dell’isola di Tiwai. Hanno scoperto che i richiami hanno significati diversi o modificati tra le due regioni. Sostengono che questo è il risultato di una forma di “competizione” linguistica, basata su un fenomeno umano per cui una parola cambia significato se compete con una parola alternativa che veicola più informazioni.
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F. B.
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