Molto spesso ci sentiamo disturbati dai film-documentari che denunciano le condizioni in cui vengono detenute molte specie di animali negli allevamenti. Un tema che spacca in due la popolazione, forse anche in tre: ovvero le persone omnivore da quelle vegane o vegetariane. Recentemente grazie ai social network è aumentata la diffusione dell’informazione e al contempo si sono moltiplicate le polemiche tra posizioni estremiste.
Una crudeltà quella degli allevamenti intensivi che ha ispirato una fotografa: Janne Anne Mc Arthur la quale, attraverso il mondo, ha voluto raccontare i momenti di terrore vissuti da molti animali, tenuti in condizioni di prigionia o poco prima della loro morte. Storie di sfruttamento, come gli animali di circo o da lavoro, animali destinati alla ricerca scientifica e quelli al macello. Tra queste non mancano racconti di salvataggi.
La serie fotografica è stata raccolta in un libro intitolato “Noi Animali- We Animals”, tradotto in italiano e pubblicato dalla casa editrice Safarà. Tra le immagini, quelle del terrore di un vitello separato troppo presto dalla madre in un caseificio, quello di un cervo impagliato nelle braccia di una bambina per le strade di New York fino allo sguardo terrorizzato di un coniglio, immortalato qualche istante prima di essere macellato.
Storie crudeli ma anche salvataggi, come il gorilla recuperato da un mercato della carne in Camerun. L’orrore vissuto dagli animali, il terrore e la paura inflitti dagli esseri umani che senza scrupoli li privano della loto natura e dignità, costringendoli in luoghi estranei e spaventosi. Come nel caso delle scimmie, catturate nel Sudest Asiatico e destinate ai laboratori.
“Quello che vedrete in queste pagine potrebbe sorprendervi o disturbarvi. Il mio scopo non è quello di farvi allontanare, ma di trascinarvi dentro, portarvi più vicino; rendervi partecipi. Voglio che le mie fotografie siano tanto belle ed evocative quanto veritiere e potenti. Spero che vi prendiate il giusto tempo non solo per guardare ma per vedere, anche solo come gesto di rispetto per i miliardi di animali di cui non notiamo né la vita, né la morte”.
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