La legge vieta la detenzione di alcune specie viventi. Conosci quali animali è vietato tenere in casa? Ecco di quali si tratta.
Negli ultimi anni è invalsa la deprecabile moda di sottrare animali selvatici al proprio habitat naturale per farne un animale domestico, alla stregua di un cane o di un gatto. Spesso dietro tale fenomeno di nascondono traffici illeciti sul commercio di varie specie. Altre volte si tratta invece di episodi isolati ed iniziative personali volte magari ad aiutare un esemplare in difficoltà, che con il tempo diviene domestico. Tuttavia la legge stabilisce quali animali non è possibile tenere in casa.
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Anche il mondo degli animali è disciplinato dalla legge, che individua due grandi categorie: gli animali domestici e quelli selvatici. Ad essi vanno aggiunti quelli di reddito, sfruttati dall’uomo per ragioni economiche legate al consumo di carne e di altri derivati animali.
Non è così semplice la definizione di animale domestico, seppur si possa trarre indirettamente dalla L. 281/1991, Legge quadro in materia di animali di affezione e di prevenzione del randagismo, che tuttavia si limita a disciplinare la figura del cane, limitandosi a definire il gatto come animale in libertà.
In assenza di altre normative specifiche (se si eccettua il caso del furetto, definito come animale domestico da un parere emesso nel 2003 dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica [I.N.F.S.], non avente comunque carattere legislativo), individuiamo altri animali domestici sulla base della cultura tradizionale in tema di animali di compagnia, e sempre che non rientrino tra le specie la cui detenzione è vietata per legge.
A titolo esemplificativo, si considerino il coniglio, il porcellino d’india, il criceto, la tartaruga, oltre al già citato furetto.
Gli animali selvatici sono tutti quelli che non rientrano nella categoria degli animali da compagnia e da reddito: essi fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato.
Molti sono gli autori nella disciplina filosofico-giuridica che distinguono tra animale domestico ed animale di affezione: la prima locuzione indicherebbe semplicemente il legame oggettivo tra l’animale e l’allocazione nei pressi dell’abitazione dell’uomo, che può essere comprensivo tanto di animali da reddito tanto di quelli da compagnia.
La seconda locuzione indicherebbe l’esistenza di un rapporto affettivo tra l’essere umano e l’animale, in grado di travalicare le specie. Secondo questa teoria, a differenza del parametro usato dalla legge, un animale sarebbe da compagnia se con l’uomo instaura un legame affettivo, a prescindere dalla specie cui appartiene: non solo cane e gatto insomma.
Difatti, non è raro vedere sul web le immagini di animali, pericolosi nello stato di natura, scambiarsi coccole ed effusioni con gli esseri umani, perché abituati alla sua presenza fin da cuccioli: orsi, leoni, tigri, lupi, ce n’è davvero per tutti i gusti.
Di fatto però, non è certo possibile tenere determinati animali in casa, semplicemente perché è vietato dalla legge. Parliamo del Decreto del Ministero dell’Ambiente del 19 aprile 1996, denominato Elenco delle specie animali che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione.
Ebbene, quali sono gli animali che è vietato detenere? L’elenco è davvero molto lungo, e a titolo esemplificativo contiene tutti i grandi felini, gli orsi, le iene, i rinoceronti, cinghiali, cervi, alci, daini, i grandi rettili nonché specifiche specie di serpenti (ad esempio la vipera), scimmie, orango, scimpanzé e gorilla.
Anche animali meno grandi e meno pericolosi fanno parte dell’elenco. Un esempio? I topi e i ratti.
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Per alcune delle specie contenute nell’Allegato A del D.M. 19 aprile 1996 è prevista un’eccezione al divieto di detenzione. Si tratta delle volpi, dei cinghiali, dei mufloni, dei daini, dei caprioli e dei cervi. La ragione dell’eccezione? Gli esemplari di tali specie possono essere detenuti solo se appartenenti ad allevamenti autorizzati a norma dell’art. 17 della Legge 157 del 1992.
Si tratta di allevamenti autorizzati dalle Regioni non solo per scopi di ripopolamento, ma anche alimentari e ornamentali.
Antonio Scaramozza
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