Tutti gli incredibili e sottovalutati utilizzi della proboscide: ecco in che modo è utile ad animali come gli elefanti.
Ogni animale ha delle proprie caratteristiche che lo rendono peculiare. Nel caso dell’elefante, la caratteristica più distinguibile è la proboscide. Uno degli organi più versatili del regno animale, la proboscide è un vero e proprio braccio per i pachidermi. Ma quali possono essere tutti i suoi utilizzi? A rispondere alla domanda, uno studio condotto da Andrew Schulz, ingegnere meccanico e biofisico al Max Planck Institute, una delle istituzioni scientifiche più importanti della Germania. Schulz da ingegnere meccanico ha cercato di comprendere come funzionano le proboscidi per migliorare i robot che utilizzano parti molli e fluidi, sia per muoversi sia per svolgere alcuni compiti per esempio nella ricerca di persone disperse tra le macerie e i detriti di un edificio.
Gli studi di Shulz sono partiti da una domanda specifica: per quale motivo le proboscidi sono rugose già nei cuccioli appena nati? Da una semplice curiosità sono partite delle ricerche che hanno fatto luce su quello che è considerato uno degli organi più versatili dell’intero regno animale, mobili e snodato anche grazie alle rughe presenti. Queste fanno la loro comparsa circa 20 giorni dopo l’inizio della lunga gravidanza degli elefanti, che ha una durata di 22 mesi. Nei cinque mesi successivi la quantità di rughe aumenta enormemente, con una maggiore concentrazione nel punto di maggiore flessibilità della proboscide.
La parola “proboscide” deriva dal greco antico προβοσκίς, cioè “davanti” (προ-) e “nutrire” (βόσκω), che descrive efficacemente la funzione di avvicinare il cibo alla bocca. In questo modo è definita l’appendice presente in diversi insetti. Nel caso specifico degli elefanti, la proboscide è un’estensione flessibile e a forma di tubo del naso e del labbro superiore della bocca. Con milioni di anni di evoluzione alle spalle, la proboscide ha fatto la sua comparsa in Africa durante il Paleocene superiore, quasi 60 milioni di anni fa, caratterizzando gli antenati degli elefanti. Nel corso del Miocene inferiore, circa 18 milioni di anni fa, i discendenti di quelle prime specie iniziarono a diffondersi nell’Eurasia e più tardi nel Nord America. In questo periodo sarebbero comparsi i primi mammut e i gomfoteri, ramo evolutivo da cui ebbero origine gli elefanti odierni.
Le differenze tra le specie di elefanti odierni riguardano le proboscidi. Gli elefanti africani hanno due “dita” sulla punta della proboscide per afferrare gli oggetti, anche di piccole dimensioni, con movimenti molto fini e precisi per animali che possono raggiungere un’altezza di quasi 4 metri e un peso intorno alle 10 tonnellate. Gli elefanti asiatici hanno invece un solo “dito”, per questo anziché afferrare gli oggetti pinzandoli li avvolgono con la proboscide stessa.
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Il peso di una proboscide di un individuo adulto è in media intorno ai 130 chilogrammi e può sollevare pesi fino a 250 chilogrammi. Formata da decine di migliaia di fasci muscolari, tenuti insieme dal tessuto connettivo, la proboscide è mantenuta tonica e flessibile grazie alla pressione del sangue. La proboscide è utilizzata anche come naso che implementa lo sviluppato senso dell’olfatto degli elefanti che sentono a distanza di chilometri la presenza di una pozza d’acqua utile per abbeverarsi.
La proboscide viene poi utilizzata per emettere il tipico verso chiamato barrito, diffondendo onde sonore che grazie alla propagazione anche nel suolo possono essere percepite a chilometri di distanza da altri gruppi di elefanti. Durante un incontro, gli elefanti usano la proboscide per riconoscersi e mantenere una certa gerarchia. Gli elefanti non usano la proboscide per bere direttamente l’acqua, ma per aspirarla e versarla in bocca. La proboscide viene utilizzata anche come una sorta di boccaglio per respirare quando sono sott’acqua.
La continua e inarrestabile espansione urbana in Asia è una delle principali minacce per gli animali selvatici e una delle cause che maggiormente porta gli elefanti a trovarsi a stretto contatto con gli esseri umani. La realizzazione di campi coltivati e villaggi comporta una perdita di habitat naturale, con l’abbattimento delle foreste e la riduzione dello spazio in cui gli elefanti asiatici vivono.
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Proprio questa è una delle ragioni che ha determinato un forte calo nella popolazione degli animali considerati come i più pesanti del mondo: gli elefanti, inseriti tra le specie in pericolo di estinzione nella Lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (nota in inglese con la sigla IUCN).
Gli Elephantidae (secondo la classificazione di Gray del 1821) sono una famiglia di mammiferi dotati di proboscide che comprende tre specie viventi, comunemente note come elefanti: l’elefante asiatico (Elephas maximus), l’elefante africano di savana (Loxodonta africana) e l’elefante africano di foresta (Loxodonta cyclotis).
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L’elefante asiatico, ad esempio, ha una struttura complessiva simile a quella dell’elefante africano, ma con alcune differenze morfologiche: oltre alle minori dimensioni, sono evidenti le differenze nella forma del cranio e la minore dimensione delle orecchie. (di Elisabetta Guglielmi)
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