Qual è il rapporto intercorrente tra gli articoli 544 ter e 638 cp, che disciplinano rispettivamente i reati di maltrattamento e uccisione o danneggiamento di animali altrui?
Gli articoli 544 ter e 638 cp tutelano due differenti beni giuridici, seppur la condotta costituente reato è compiuta, per entrambe le fattispecie, nei confronti di un animale. Pertanto qual è il rapporto tra le due norme? L’applicazione dell’una esclude quella dell’altra? Ecco una breve analisi della questione giuridica sottesa a tale quesito.
L’art. 544 ter cp disciplina il reato di maltrattamento di animali. La norma fa parte del Titolo IX-bis del codice penale, intitolato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali“, introdotto con la L. n. 189 del 2004.
A norma dell’articolo è punito chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale, ovvero lo sottopone a sevizie, a comportamenti, a fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
La pena è quella della reclusione, che va dai tre ai diciotto mesi, o la multa da 5.000 a 30.000 euro, che si applica anche a chi somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
L’art. 638, invece, disciplina il reato di “Uccisione o danneggiamento di animali altrui”. La norma punisce chi, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali altrui. La pena è quella della reclusione fino ad un anno, o la multa fino a trecentonove euro.
Ovviamente, per quel che riguarda l’ambito di interesse della questione analizzata, l’analisi è limitata alla condotta che cagiona il deterioramento dell’animale di un terzo.
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Innanzitutto la diversità è da rinvenire nel bene protetto, rispettivamente, dalle due norme. Se l’art. 544 ter cp tutela quello che è il sentimento di pietà che l’essere umano prova per la sorte degli animali, l’art. 638 cp è pensato come strumento di difesa della proprietà privata.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che ad oggi la figura dell’animale, nell’ordinamento giuridico, vive la profonda contraddizione derivante dal fatto che da un lato costituisce mero oggetto del patrimonio dell’essere umano, dall’altro, soprattutto dal punto di vista penalistico, è individuo al quale viene riconosciuta un’integrità psicofisica degna di tutela.
Non a caso, infatti, l’uccisione o danneggiamento di animali altrui è punibile solo su querela del soggetto interessato, ovvero il proprietario; mentre il sentimento di pietà violato da una condotta di maltrattamento può essere anche di una persona diversa da quella che possiede l’animale vittima del reato.
Si può aggiungere, in conclusione, che, affinché è il colpevole della condotta punibile ai sensi dell’art. 638 cp sia perseguibile, non è sufficiente la sola querela del danneggiato; è necessario altresì la consapevolezza dell’appartenenza dell’animale ad un terzo, e che il comportamento dell’indagato non costituisca un reato più grave.
Il delitto di maltrattamento di animali è considerabile come reato più grave, e dunque escludente quello ex art. 638 cp?
Non vi sono certezze al riguardo, ma diversi elementi ci guidano verso un responso negativo. In primo luogo, perché sono concettualmente diversi, e cioè appartenenti a categorie del tutto distinte, i beni tutelati dalle rispettive norme; in secondo luogo perché una risposta positiva cozzerebbe contro la ragionevolezza che deve animare l’operato del Legislatore.
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Se infatti il danneggiamento di animali altrui integrerebbe automaticamente il reato di maltrattamento di animali, e laddove questo debba essere considerato più grave, ne deriverebbe l’inapplicabilità assoluta del primo.
Antonio Scaramozza
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