La legge sulla protezione degli animali da compagnia compie dieci anni: ecco un breve prospetto della disciplina e del suo ambito di applicazione.
L’accresciuta sensibilità culturale e sociale verso gli animali ha condotto, nel corso del tempo, la stessa legislazione a rinnovarsi e ad adeguarsi a tali cambiamenti. Un esempio è la legge sulla protezione degli animali da compagnia, approvata dal Parlamento italiano il 4 novembre 2010. Ecco un breve prospetto della disciplina e del suo ambito di applicazione.
Nel corso degli ultimi decenni è notevolmente cresciuta la sensibilità verso gli animali da compagnia, oramai considerati sempre di più come veri e propri membri della famiglia. Spesso la legge si trova a dover disciplinare dei fenomeni già in atto nella cultura della società, ed il sentimento verso gli animali ne è un esempio.
L’evoluzione legislativa è stata costante nel corso del tempo, e gradatamente ha prestato una tutela sempre più maggiore nei confronti degli animali, sia da compagnia che non.
Si pensi all’abbandono di animali, una delle prime figure di reato punite dalla legge; oppure alla Legge quadro 281/1991, sulla prevenzione del randagismo; o ancora alla legge n. 189 del 2004, che ha introdotto nel codice penale una serie di reati volte a tutelare l’integrità psicofisica di tutti gli animali (si pensi al reato di maltrattamento di animali o al divieto di combattimento).
La crescita, di pari passo e negli stessi anni, è avvenuta anche a livello europeo. Risale al 1 maggio 1992 l’entrata in vigore della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia.
L’Italia con la Legge 4 Novembre 2010, n. 201, ha ratificato tale Convenzione, attraverso delle specifiche norme di adeguamento. Esattamente oggi, dunque, ricorrono i 10 anni dall’approvazione di tale normativa (entrata in vigore il 4 dicembre 2010), particolarmente importante per i nostri amici a quattro zampe.
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La legge sulla protezione degli animali da compagnia approvata dal Parlamento si adegua, in toto, alla Convenzione europea, seppur introducendo delle modifiche al codice penale e l’introduzione di nuovi illeciti in danno degli animali.
La normativa dunque si applica a tutti gli animali da compagnia, sia a quelli adottati da una famiglia, sia quelli randagi, sia quelli presenti nei vari rifugi appositi (in realtà sulla base della Legge quadro 281/1991, sussiste l’obbligo di catturare i soli cani randagi; i gatti sono definiti quali animali liberi di vivere nel territorio che hanno scelto, anche se i gattili non mancano).
Gli articoli 3 e 4 della normativa stabiliscono dei principi fondamentali: è vietato in modo categorico il maltrattamento, fisico e psicologico, degli animali da compagnia, nonché il loro abbandono; il proprietario o chi ha deciso volontariamente di occuparsene è responsabile del loro benessere.
Inoltre è vietato sottoporre gli animali da compagnia ad interventi chirurgici aventi il solo scopo di cambiarne l’aspetto dal punto di vista estetico (si pensi al deplorevole taglio della coda del cane). Ovviamente costituiscono un’eccezione le operazioni volte alla sterilizzazione del gatto e del cane, nonché quelle necessarie per ragioni mediche.
La legge sulla protezione degli animali da compagnia stabilisce anche quelli che sono i principi da rispettare in materia di randagismo e in materia di detenzione dell’animale per scopo di lucro (come ad esempio l’allevamento).
La normativa, come già detto, ha apportato anche delle modifiche al codice penale; in particolare ha inasprito il trattamento sanzionatorio previsto per i reati di maltrattamento e uccisione di animali.
Inoltre ha introdotto delle sanzioni per chi si rende responsabile di traffico o introduzione illecita di animali da compagnia nel territorio dello stato italiano.
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Antonio Scaramozza
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