Sono molti gli studi effettuati sull’inquinamento acustico e i sui suoi effetti, ma come incidono sugli uccelli? Vediamo insieme le scoperte dei ricercatori
Fatta eccezione per questo periodo “di tregua”, in cui gli animali stanno facendo il loro ritorno date le acque più pulite e le città più silenziose a causa della quarantena, di solito sia noi che i nostri amici animali eravamo abituati ad essere esposti ai più svariati tipi di inquinamento, non per ultimo quello acustico. I suoi effetti sono stati largamente studiati, ma per quanto riguarda gli uccelli, quali sono i riscontri trovati dai ricercatori?
Viene definito ANP, ossia anthropogenic noise pollution, ovvero inquinamento acustico antropogenico. Questo tipo di inquinamento è causato da tutti i rumori prodotti dalle attività degli esseri umani, nello specifico: il traffico stradale, gli aerei, le industrie e via disquisendo.
I suoi effetti sull’uomo e sugli animali sono stati oggetto di molti studi ma in questo caso ci soffermeremo sulle conseguenze dell’inquinamento acustico sugli uccelli.
Gli effetti dell’ l‘inquinamento acustico sugli uccelli, che andremo ad analizzare insieme, sono il risultato di diverse ricerche che mostrano come le conseguenze dell’inquinamento agiscano su diversi aspetti della vita di questi animali.
Un gruppo di ricercatori della School of Forestry and Wildlife Sciences di Auburn, in Alabama, ha condotto uno studio sugli effetti dell’inquinamento acustico su 322 specie di uccelli che popolano il continente americano. I risultati dello studio hanno evidenziato che, nelle zone maggiormente alterate dall’uomo, l’inquinamento acustico è doppio rispetto a quello relativo alle zone selvatiche, come ad esempio le foreste.
La conseguenza di ciò è che gli uccelli che vivono in zone antropizzate esibiscono un canto “più articolato” rispetto a quelli che vivono in ambienti più silenziosi. La motivazione sarebbe da ricercare nel fatto che le aree più rumorose implicano per gli uccelli una maggiore difficoltà nel riuscire a distinguersi. I rumori di fondo si confondono con il canto degli uccelli che, per riuscire a farsi notare, devono ricorrere a metodi espressivi più articolati.
Da un’altra ricerca svolta presso la University of Colorado Boulder si è osservato che l’inquinamento acustico ha effetti considerevoli anche sulla salute degli uccelli e in particolare sullo stress.
Lo studio è stato condotto su tre diverse popolazioni di uccelli. Per ognuna di queste sono stati scelti tre “habitat differenti”. Il primo è stato posto nella natura selvaggia, caratterizzata da un livello di rumorosità basso, il secondo è stato posto in prossimità di alcuni impianti di lavorazione, presentando quindi livelli di rumorosità molto elevati e il terzo è stato posto in un’area con livelli di inquinamento acustico intermedi fra questi due casi limite. Le tre popolazioni sono state poi monitorate al fine di verificarne gli effetti procurati dai diversi habitat sugli uccelli.
Gli studiosi hanno rilevato che gli uccelli che nidificano nelle zone con livelli di inquinamento acustico più elevato presentano dei livelli bassi di corticosterone, l’ormone dello stress.
Anche se, i ricercatori sottolineano che questo è un fenomeno comune non solo negli uccelli ma anche nei roditori e negli esseri umani. Queste specie sono caratterizzate dal fatto che presentano livelli cronicamente bassi di questi ormoni a causa di situazioni che procurano stress e che sono inevitabili. Anche in queste situazioni gli uccelli come gli umani, cercano ad di risparmiare energia, ciò li porta in uno stato di ipocorticismo che può, però, causare infiammazioni o perdita del peso corporeo.
I risultati dello studio hanno anche evidenziato un altro effetto significativo. I pulcini, nativi delle aree caratterizzate da un maggiore inquinamento acustico, presentano disfunzioni durante il processo di crescita. Il loro sviluppo avviene in tempi più lunghi e a volte anche il loro piumaggio risulta meno sviluppato. Lo stesso risultato è stato riscontrato anche nei piccoli nati e cresciuti in zone molto più silenziose. Per giustificare questo riscontro, forse inatteso, gli studiosi hanno ipotizzato che, in queste aree, gli uccelli sono più a rischio,poiché maggiormente esposti all’attacco di predatori. Questo pericolo fa si che gli uccelli lascino il nido il meno possibile ma, d’altro canto, in questo modo hanno a disposizione meno tempo e meno occasioni per cercare il cibo per poter nutrire i piccoli.
Questo studio ha consentito anche di chiarire un fenomeno che ha sempre destato perplessità. In passato, si riteneva che alcuni tipi di uccelli riuscissero a tollerare meglio l’inquinamento acustico, e questa predisposizione induceva questi uccelli a prediligere zone rumorose per nidificare. La Sialia mexicana, ne era un esempio. Ma il risultato di queste ricerche e soprattutto la scoperta di questi livelli di stress dannosi, provocati dai livelli di rumorosità elevati, sembra aver smentito questa tesi. Infatti una delle ricercatrici, Nathan Kleist, ha affermato: “È un esempio perfetto della cosiddetta trappola ecologica, quando cioè un organismo sviluppa una preferenza per qualcosa che in realtà è dannosa”.
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M. L.
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