I giorni della merla, secondo la tradizione popolare, sono gli ultimi tre giorni di gennaio: 29, 30 e 31 e sarebbero le tre giornate più fredde dell’anno. Tutto quello che c’è da sapere e un simpatico disegno da colorare.
La leggenda narra che una merla bianca diventò nera per sopravvivere al freddo rigido di Milano durante gli ultimi tre giorni di gennaio. Esistono due versioni della stessa leggenda oltre a filastrocche, poesie, proverbi e curiosità. Scopriamole insieme.
Come anticipato esistono due versioni della medesima storia della tradizione popolare sulla merla, uno degli uccelli migratori.
Tantissimi anni fa a Milano ci fu un inverno molto rigido; la neve scendeva e ricopriva tutto di bianco. A quel tempo i merli avevano le piume bianche e una famiglia formata da mamma merla, papà merlo e tre piccoli nati dopo l’estate. La famiglia che viveva sotto una grondaia di un palazzo in Porta Nuova stava soffreddo il freddo da giorni e faticava a trovare cibo poiché le briciole e gli avanzi di cibo che cadevano a terra dalle tavole degli uomini venivano subito ricoperte dalla neve.
Papà merlo, determinato a non far morire di freddo e fame la sua famiglia, decise di uscire a trovare del cibo lontano da lì, dove la neve non era ancora arrivata, ma prima di partire spostò il nido di mamma merla e dei tre piccoli sul tetto di un palazzo accanto a un camino così che potessero rimanere al caldo. Dopo tre lunghi giorni papà merlo tornò dal resto della famiglia ma quasi non riuscì a riconoscerla! Il fumo e la fuliggine che uscivano dal camino avevano colorato di nero tutte le piume di mamma merla e degli uccellini! Da quel giorno l’inverno diventò meno rigido e la famiglia riuscì a trovare cibo sufficiente per arrivare alla primavera.
Da quel momento tutti i merli nascono con le piume nere e, per ricordare i merli bianchi che divennero neri, gli ultimi tre giorni di gennaio sono chiamati proprio “I tre giorni della merla”.
Una merla dalle piume bianche era stanca di soffrire ogni anno il freddo di un gennaio dispettoso. Il primo mese dell’anno infatti aspettava che lei uscisse dal nido in cerca di cibo per scatenare tempeste di freddo, neve e gelo. Un anno la merla decise di sfidare gennaio: fece provviste di cibo e si rinchiuse nel suo nido per tutto il mese che all’epoca durava 28 giorni. Il ventottesimo giorno la merla uscì dal nido e si mise a cantare prendendo in giro gennaio.
Quest’ultimo, infastidito, decise di fargliela pagare: chiese e ottenne da febbraio tre giorni in prestito e in questi giorni scatenò bufere di neve, pioggia, vento e gelo. Presa alla sprovvista la merla si nascose in un camino e ci restò in attesa che bufera terminasse. Passati i tre giorni, quando la bufera finì, la merla uscì dal comignolo, ma a causa della fuliggine le sue piume non erano più bianche, si erano annerite. Da quel giorno tutti i merli nascono con il piumaggio nero.
In tutte le leggende c’è qualcosa di vero ed anche in quella dei giorni della merla c’è un fondo di verità: nel calendario romano il mese di gennaio durava solo ventinove giorni.
Secondo la leggenda e i modi di dire popolari se i giorni della merla sono rigidi la primavera sarà mite; se invece sono caldi la primavera arriverà in ritardo.
Di seguito le poesie dedicate all’argomento con l’indicazione dell’autore.
29, 30, 31
dal gelo non si salva nessuno!
Di gennaio tal giornate
son da sempre assai gelate;
le più fredde, le più glaciali
adatte solo agli orsi polari!
Lo sa bene mamma merla
che era bianca come perla
ma per scaldarsi un po’ al camino
diventò nera carboncino!
Da quel dì scura a vederla:
furono i Giorni della Merla!
Oh che freddo! Oh che gelo!
Vento forte e nubi in cielo!
La pozzanghera è ghiacciata,
la grondaia si è gelata!
Indossiam sciarpe e cappelli,
bei maglioni e gran mantelli,
paraorecchie e poi giacconi
canottiere, calzettoni!
Ma ‘sto freddo non va via:
gela tutto, mamma mia!
Più pungente di una sberla:
sono i giorni della merla!
Il freddo che ghiaccia
e gela la faccia;
il vento invernale
che tosto ti assale;
il ghiaccio gelato
che copre il selciato.
La neve attutisce;
la natura patisce
il gelo che l’avvolge
e che la travolge,
rischiano di sfinirla
nei giorni della merla!
Tanto, tanto tempo fa
(non era nato neppure papà!)
ogni merlo avea il piumaggio
bianco come un fior di maggio;
candido, puro, immacolato
come un giglio appena nato.
Poi un giorno accadde un fatto
che cambiò di colpo tutto!
Come andò questa faccenda
ve lo dice la leggenda
che se un po’ pazienza avrete
senza indugio ascolterete!
Mamma merla già lo sa
che a gennaio freddo fa,
che dal ciel scende la neve
bianca, soffice e assai lieve;
che d’inverno tutto ghiaccia:
mani, piedi e anche la faccia.
E cercando in ogni modo
di scaldare i figli e il nido,
scorge un tetto lì vicino
dove sbuffa un bel camino
da cui esce fumo nero,
ma calduccio per davvero.
Così insieme ai figlioletti
non svolazza più sui tetti,
ma fa un nido piccolino
proprio sopra a quel camino.
Ora il gel non è più cruccio:
la famiglia sta al calduccio!
Quando il gelo s’è chetato
ed il freddo se n’è andato,
mamma merla esce dal nido:
“Cra cra cra” e lancia un grido
“Ch’è successo al mio piumaggio?
Di guardar non ho il coraggio!”.
Ed inver non è più puro,
bianco e candido, ma scuro.
E la merla le sue piume
corre già a pulire al fiume.
Lava, lava per davvero
ma il piumaggio resta nero!
Da quel dì i merli tutti
sono nati inver sì fatti:
la leggenda dice il vero
col piumaggio solo nero!
Mai più bianchi come foglio,
solo neri come il petrolio.
Ma che importa? Restan belli
coi lor becchi tutti gialli!
Gennaio fu impertinente
con una merla intelligente.
Lui era corto un tempo lontano
ma non volendo dare una mano
ad una merla che seppe arrangiarsi,
ecco che vide i suoi giorni allungarsi.
Chi concesse alla merla i tre giorni?
Febbraio! Era della merla nei dintorni,
alle suppliche non seppe resistere e così
gennaio si allungò per magia di ben tre dì!
Tante leggende,
brutte faccende.
I merli erano bianchi
indaffarati e stanchi
ma i lunghi e freddi giorni di gennaio
li fecero annerire come
inchiostro nel calamaio.
Dice qualcuno che
se a fine gennaio fa bello,
a primavera bisogna aprir l’ombrello
se invece fa freddo e scende la neve
in primavera si suda e si beve!
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Forse lo sa già qualcuno…
sono i giorni della Merla
che a gennaio puoi vederla
aggirarsi tra i camini
nelle case coi bambini
con le mamme e le faccende,
con i nonni e le leggende.
Non dobbiamo mai scordare
che il gran freddo può tornare
anche se gennaio parte,
non mettiamo ancor da parte
i maglioni e i calzettoni
perché busseranno i tuoni
a portare neve e vento
sopra l’erba e sul cemento.
La merla sta arrivando
(si sente già… freddino!),
ma ormai si è organizzata,
lasciato ha il suo camino:
s’è bene imbacuccata,
ha messo un bel cappotto
e sfoggia, elegantona,
finanche un manicotto!
Ascoltate, bambini, la leggenda dei tre giorni della merla.
Conservandola nel cuore come in uno scrigno una perla.
La leggenda vuole spiegare le origini
di un fatto suggestivo, affascinante o solo curioso;
perché, l’inverno, per lunghi tratti mite nebbioso
negli ultimi tre giorni del nostro primo mese
di colpo si mostri rigidissimo e scortese.
Tanti anni fa i merli avevano un candido piumaggio
d’un bianco più lindo delle gemme a maggio;
ma, Gennaio, in quell’anno antico e lontano
con le temperature fredde si lascio prendere la mano;
così una merla trovò ricovero in un camino
con la sua folta nidiata dal bianco capino.
Il camino caldo e fuligginoso
in quei giorni di tormenta fu ricovero miracoloso;
quando la morsa del nuovo mese cessò
la merla e i pulcini verso il suo nido s’orientò
e il nuovo colore nero di pece più che cinerino
scorse la famigliola nello specchio d’un rivo.
Da allora i merli non sono più bianchi ma neri
e i tre giorni già detti, tra i più rigidi e severi.
I giorni della merla arriveranno di notte
saranno corsari e stelle dentro bottiglie spaccate,
l’isola vagabonda nel sacco delle ore,
il limpido delle tempeste,
il bacio mansueto del leone.
O, questo nero che cola a bagnarci l’ala.
Abbiamo detto alle onde crescete
con le scarpe slacciate e,
dentro le case abbandonate,
siate abitanti silenziose delle montagne,
alle distanze riunitevi nelle congiure e
diventate dinastie di queste labbra!
A chi darò il canto
se non corre il tempo a svegliare Atlantide
dal sonno della trasparente estate?
Non abbiamo memorie,
ma il sonno che tracima alle cisterne.
Sono la merla e i suoi giorni,
la maga e l’ombra della rosa,
l’aprile della vendetta sotto mentite spoglie,
la vita che assalta con un segno,
il baro salvato dall’ironica sorte,
la ruota da cui nessuno ha scampo:
sono la fedele assassina!
A chi darò il mio canto se non torna Atlantide
dalla schiuma delle finzioni?
Sono la rapina,
l’ape regina che divora Casanova
con un pungiglione di amplessi
e ne fa miele e menzogna per animare eserciti
di plastica alle porte della risacca.
La merla è a capo dei mirmidoni e
la stirpe corre dentro la terra in una furia frontale
e vi raggiunge con le braccia di un’amante!
Cedete occhi, cedete lacrime,
cedete al bosco che vi spia da un ponte
sopra il cielo. E voi cosa siete arcobaleni?
Lacrime e occhi?
Piume occhi, lacrime occhi della merla.
Lontane stelle del toro, petali della corrida,
da voi comincia la caduta
poi al pianoforte cadono i tasti
e in un simile scroscio a chi sorrideranno
le acque nascoste delle Alpi?
Nel grigio cielo
che offusca il sole
privo è il potere
innanzi all’infinito.
Merli accatastati
sopra pali della luce
osservano impavidi
il giorno furente.
Il vento sputa
il suo gelido alito.
Il freddo guaisce
come un cane bastonato.
e sui rami
nessuna foglia.
Col vin Brulé
invano si tenta
di riscaldare il cuore
tra le membra di ghiaccio.
Ma stretti han chiuso
i giorni della Merla
nel loro gelido abbraccio.
Appena se ne va l’urtima stella
e diventa più pallida la luna
c’è un Merlo che me becca una per una
tutte le rose de la finestrella:
s’agguatta fra li rami de la pianta,
sgrulla la guazza, s’arinfresca e canta.
L’antra matina scesi giù dar letto
co’ l’idea de vedello da vicino,
e er Merlo furbo che capì el latino
spalancò l’ale e se n’annò sur tetto.
– Scemo! – je dissi – Nun t’acchiappo mica…-
E je buttai du’ pezzi de mollica.
– Nun è – rispose er Merlo – che nun ciabbia
fiducia in te, ché invece me ne fido:
lo so che nu m’infili in uno spido,
lo so che nun me chiudi in una gabbia:
ma sei poeta, e la paura mia
è che me schiaffi in una poesia.
È un pezzo che ce scocci co’ li trilli!
Per te, l’ucelli, fanno solo questo:chiucchiù, ciccì, pipì…
Te pare onesto de facce fa la parte d’imbecilli
senza capì nemmanco una parola
de quello che ce sorte da la gola?
Nove vorte su dieci er cinguettio
che te consola e t’arillegra er core
nun è pe’ gnente er canto de l’amore
o l’inno ar sole, o la preghiera a Dio:
ma solamente la soddisfazione
d’avè fatto una bona diggestione.
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Scarica qui il disegno a tema “i giorni della merla”: i bambini si divertiranno a colorarlo.
S.C.
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