Il furto dell’animale domestico è un crimine molto odioso, perché ci sottrae un membro della famiglia. Ecco come è punito dalla legge.
Purtroppo anche i nostri amici a quattro zampe non sono al sicuro dal crimine: anzi, non avendo voce per raccontare i reati commessi in loro danno dagli uomini, sono tra i più indifesi. Un crimine molto odioso è il furto dell’animale domestico: scopriamo insieme com’è punito dalla legge e quale pena rischia chi commette questo reato.
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L’animale domestico è ormai considerato da tanti come vero e proprio membro della famiglia. Con gli animali condividiamo tanti momenti della nostra vita, ed è forte il legale affettivo che si può instaurare con loro. Anche la legge ha preso atto del cambiamento culturale in atto nella nostra società, introducendo delle disposizioni di tutela.
Con la Legge n. 189 del 2004 è stato inserito nel nostro codice penale il Titolo IX bis (Dei delitti contro il sentimento per gli animali) che prevede varie figure di reato volte a tutelare l’animale, come il reato di uccisione (art. 544 bis c.p.), quello di maltrattamento (544 ter c.p.), ed il divieto di di combattimento tra gli animali (544 quinquies).
Per ciò che concerne la figura dell’animale domestico ricordiamo inoltre il reato di abbandono, previsto e punito dall’art. 727 c.p. Non solo la legge penale è da annoverare. A norma dell’art. 514 c.p.c. gli animali di affezione sono impignorabili.
Nonostante le indubbie migliorie apportate dalla legge nel corso degli ultimi anni, l’animale, anche quello d’affezione, continua ad essere qualificato come res giuridica, ovvero una cosa, facente parte del patrimonio della persona; e come tale può essere acquistata o venduta.
Quindi, per il furto dell’animale domestico, la fattispecie di reato che viene a configurarsi è proprio quella prevista e punita dall’art. 624 c.p., ovvero il reato di furto. La norma punisce chi s’impossessa di una cosa mobile appartenente ad altri, al fine di trarne profitto.
L’animale domestico si configura proprio quale cosa mobile: chi lo sottrae al legittimo proprietario compie un furto.
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Chi commette il furto dell’animale domestico è punito con la pena della reclusione che va dai 6 mesi ai 3 anni, e con la multa che va da 154 a 516 euro. E’ bene sottolineare, tuttavia, che per l’integrazione del reato furto è necessario che chi lo commette lo abbia fatto al fine di trarne profitto.
Proprio su tale punto va segnalata una sentenza del Tribunale di Roma che ha dato luogo ad un orientamento giurisprudenziale molto controverso, statuendo sul furto di un gatto. Il Tribunale, con sentenza del 7 luglio 2016, assolveva una donna che aveva rubato il gatto dei vicini, rifiutandosi di restituirlo per ben 7 lunghi anni.
Per l’organo giudicante non si configurava il reato di furto poiché l’imputata non l’aveva commesso al fine di trarne profitto. Il motivo? Il valore economico modesto del gatto, che dava luogo al riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
Si tratta di un orientamento molto controverso, perché si basa solo ed esclusivamente su una valutazione economica della res rubata, senza considerare affatto il valore affettivo che l’essere umano instaura con l’animale, in palese controtendenza con l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia.
Senza contare che se fosse l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, diverrebbe lecito, quanto meno non antigiuridico, rubare qualsiasi cosa abbia un valore economico modesto. Urge pertanto un’ulteriore modifica legislativa, che preveda, almeno come aggravante al reato ex art. 624 c.p., il furto dell’animale domestico.
Antonio Scaramozza
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