Portare gli avanzi del ristorante a casa è un’usanza ancora non tanto comune in Italia, ma la doggy bag è sintomo di civiltà.
Premessa: non stiamo parlando della borsetta da passeggio dove i vip infilano i loro cagnolini di piccola taglia, ma della classica borsa per gli avanzi; ovviamente, non si tratta di avanzi adatti solamente al cane, ma che si raccolgono per qualsiasi animale domestico, di qualunque specie.
Anche se ti trovassi nel più bel ristorante o nella pizzeria più alla moda, non dovresti sentirti fuori luogo nel chiedere una borsa (o anche una scatola o una busta) con dentro i tuoi avanzi da portare a casa.
In Italia, questo si può applicare già ovunque, grazie a una legge che incoraggia i ristoranti a offrire alle persone la cosiddetta “doggy bag”, anche se in Italia viene chiamata comunemente, e in senso un po’ dispregiativo, “busta degli avanzi”.
La legge 166 del 2016 è progettata per rimediare allo spreco alimentare e lo fa principalmente rimuovendo gli ostacoli legali per le aziende che desiderano donare il cibo in eccesso che, altrimenti, andrebbe sprecato. Esistevano già delle agevolazioni in materia di “beneficenza”, ma qui non stiamo parlando di questo, non nel senso più stretto del termine. Parliamo piuttosto di provvedere ai bisogni dei nostri cuccioli (come anche dell’intera famiglia) portando loro quanto pagato da noi, ma non consumato, affinché quel cibo da potenziale spazzatura diventi invece una risorsa utile.
Lo strano senso del pudore italiano: “family bag” invece che “doggy bag”
La verità è che se anche le persone fossero inclini ai principi che la doggy bag rappresenta (redistribuzione delle risorse, no spreco e sopperire ai bisogni nutrizionali dei nostri animali domestici, in primis), purtroppo qui in Italia non ci troveremmo a nostro agio con questo costume tipicamente anglosassone. Se gli italiani si saziano prima di finire tutte le portate sul tavolo, si vergognano a chiedere di mettere il resto delle cose, che hanno già pagato, dentro un contenitore da portar via: piuttosto preferiscono ingozzarsi fino a scoppiare, perché non rimanga niente.
Qualche anno fa, alcuni ristoranti italiani hanno introdotto, a questo proposito, nei loro servizi ai clienti la cosiddetta “family bag”, che è un modo molto più dignitoso (secondo il parere dei più pudici) per riferirsi alla classica doggy bag.
Estero versus Italia: la doggy bag come luogo comune
Negli Stati Uniti, al contrario, portare a casa cibo non consumato è sempre stato più che normale. Nel Regno Unito è abbastanza comune, a seconda del tipo di cucina, ma di solito viene chiesto con una buona dose di imbarazzo da parte dei “brits”. A sud, tuttavia, questa pratica è rara.
In Francia, esistono leggi molto severe riguardo allo spreco alimentare: questi decreti legislativi sanzionano pesantemente tutti quei supermercati o quelle attività di ristoro che non donano il cibo in eccesso o che non riutilizzano quello ormai non più commestibile per l’uomo, in maniera tale da poter servire per nutrire i cani, per il compost o per la produzione di concime. Non si deve buttare via niente: questa è la prima regola del manifesto ecologista al quale le nazioni stanno cercando di aderire. Specialmente quelle più ricche sono coinvolte, o devono sentirsi coinvolte, da questo vento di riforma negli usi e costumi sociali, poiché là dove c’è più opulenza c’è anche più spreco di risorse. E lo spreco è uno dei nemici principali dell’ambiente.
In Italia non si fa. Sebbene delle leggi, una in particolare, ce lo consentano, non è bene chiedere, ci fa sembrare “accattoni” domandare al cameriere di mettere il nostro pasto in una borsa per portarlo a casa. Al ristorante, però, sembra male persino portare con noi il nostro animale domestico; e se lo facciamo, per assoluta necessità, ci sembra male chiedere un piattino con un po’ di acqua. In poche parole, agli italiani sembra male mendicare qualsiasi cosa: lo paragoniamo a supplicare per l’elemosina, seduti per terra all’angolo di una strada trafficata. Perché se chiediamo gli avanzi può voler dire che non abbiamo i soldi sufficienti per fornire un pasto al nostro Fido.
Proprio per questo da noi non si può usare una doggy bag, ma piuttosto una family bag, secondo quanto deciso dal governo. Peccato che anche modificando il nome, la sostanza non cambi poi molto e il Belpaese resta parecchio indietro agli altri sui temi che riguardano lo spreco e la redistribuzione delle risorse, soprattutto quelle alimentari.
Secondo i dati raccolti di recente dall’Osservatorio Waste Watcher, infatti, lo spreco alimentare in Italia varrebbe quasi un punto del prodotto interno lordo (ossia circa quindici miliardi di euro).
Doggy bag: quali sono le origini e perché si chiama così
La tradizione della doggy bag (o doggie bag) probabilmente non è iniziata in un ristorante specifico e in un momento ben preciso. Anzi, molto probabilmente si è sviluppata di qua e di là, in giro per gli Stati uniti d’America, all’incirca negli anni ’40, quando la Seconda Guerra Mondiale imperversava e per nutrire i loro animali domestici, e persino se stesse, le persone erano costrette a chiedere gli avanzi alle cucine (addirittura gli ossicini che i cani tanto adorano e che rimanevano dal piatto di qualcun’altro).
Secondo un articolo su Smithsonian.com, i caffè di San Francisco e gli hotel di Seattle hanno iniziato a fornire sacchetti di carta cerata ai clienti affinché potessero portare a casa gli avanzi per il cane, e i ristoranti in tutta la nazione hanno seguito l’esempio.
Tuttavia, c’è un’altra storia sull’origine della doggy bag, che attribuisce il merito di questa invenzione a un particolare ristorante. Questo locale distribuiva borse per i cani piene zeppe di cibo.
La doggy bag nella Seconda Guerra Mondiale
Secondo questa storia, la doggy bag sarebbe nata nel 1949, nel ristorante Steak Joint di Dan Stampler in Greenwich Avenue a New York. I clienti di questo locale chiedevano spesso una borsa da portare a casa con gli avanzi da dare al loro cane. Sebbene la cosa più sensata da fare sarebbe stata ridurre le dimensioni delle bistecche, o forse ridurre le quantità dei contorni, Sampler non aveva nessun problema a incoraggiare i suoi clienti a portare a casa gli avanzi. Qualche volta, se i clienti si sentivano imbarazzati a chiedere, era lui stesso ad offrire loro ossa e altre giacenze per i cuccioli che erano rimasti a casa.
Allora, creò una borsa su cui era raffigurato un terrier scozzese (il suo cane) e la chiamò appunto “doggy bag”. Alla Bagcraft Corporation di Chicago piacque l’idea e iniziò a fabbricare queste borse e a distribuirle a tutti i ristoranti. Poco dopo Jane Meister, la moglie del co-fondatore di Bagcraft, scrisse una poesia che apparve sulle borse e successivamente fu ristampata oltre cento cinquanta milioni di volte:
Alcune fonti sostengono che Stampler non pensava davvero che i suoi clienti desiderassero portare a casa gli avanzi per i loro cani, ma chiamava così questa borsa soltanto per salvarli dall’imbarazzo di chiedere del cibo da portar via.
Un’altra storia vorrebbe che l’origine della doggy bag risalisse alla Prime Rib di Lawry a Beverly Hills, in California, che presumibilmente iniziò a fornire queste borse con gli avanzi per non buttare le ossa della carne. Siamo all’incirca nel periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale.
La doggy bag ai giorni d’oggi
Ai giorni d’oggi, la doggy bag è raramente una borsa, ma piuttosto un contenitore in plastica o cartone (meglio cartone se si vuole essere davvero eco-friendly), a volte con un logo stampato, ma più spesso si tratta di una semplice busta. Naturalmente, i contenitori stessi potrebbero essere collocati a loro volta all’interno di sacchetti. Alcuni ristoranti ci tengono alla presentazione: e perciò trasformano la borsa in una opera d’arte, ad esempio realizzando forme fantasiose (come il classico cigno) con i fogli di alluminio.
Come abbiamo detto prima, la doggy bag di solito non viene fatta in altri paesi se non negli USA e molti visitatori stranieri potrebbero ritenere questa pratica alquanto stravagante, se non addirittura vergognosa. Se si tratta di clienti orientali, il loro senso del disgusto non sarebbe focalizzato sull’usanza in sé quanto sull’abitudine statunitense (forse hanno preso questo da noi italiani) di esagerare con le porzioni di cibo nel piatto.
Questo disgusto non è giustificato da parte degli europei, e in particolar modo degli italiani, poiché noi siamo i primi ad amare gli eccessi a tavola. Se fossimo più istruiti su argomenti che riguardano il benessere dell’ambiente e la cura dei nostri animali domestici, quel senso di umiliazione che ci invade come forte rossore sulla pelle, quando dobbiamo chiedere al cameriere di metterci da parte ciò che abbiamo lasciato nel nostro piatto, non esisterebbe.
Il futuro delle doggy bag: due nuove idee per ridurre gli sprechi alimentari nei ristoranti
Appurato che non c’è davvero nulla di male nel chiedere una doggy bag, perché non soltanto è prevista per legge, ma è uno strumento che ha dei risvolti utili per la salvaguardia dell’ambiente e il benessere dei nostri stessi cuccioli, possiamo continuare spiegando quelli che sono i due metodi principali per adoperare questo fantastico oggetto.
In alcuni casi, questi metodi potrebbero risultare un tantino scomodi. Non fa niente se non siamo in grado di praticare sempre questa buona abitudine (le eccezioni capitano), l’importante è fare in modo che, quando possiamo, non ci facciamo sfuggire l’opportunità di fare del nostro meglio.
Portiamoci dietro un nostro contenitore per il cibo
Non voler sprecare il cibo non è un motivo valido per sprecare materiali. Perciò è sempre bene portarci da casa un nostro contenitore, in maniera che i ristoranti non debbano rifornirsi in continuazione. Anche la produzione continua di contenitori può far male al nostro ecosistema. Tutte quelle scatole (di qualsiasi materiale siano fatte) non avrebbero un posto in casa nostra e, alla fine, saremmo costretti a gettarle nella spazzatura.
No alle buste di plastica, usiamo la carta
Mantenere pulito e in ordine questo pianeta non deve essere un impegno che prendiamo soltanto per le generazioni future, ma anche per quelle che attualmente esistono e respirano l’aria che noi abbiamo inquinato. Dobbiamo smettere di fare del male all’ambiente, perché i nostri stessi animali possano avere un ecosistema sicuro e appropriato dove vivere e giocare. Animali e natura sono due facce della stessa medaglia: non possiamo dire di curare i bisogni dei primi, se poi ci dimentichiamo dell’altra.
Questo vuol dire che, presa coscienza della nostra posizione e del nostro ruolo su questa terra, tutto ciò che ci resta da fare è essere più accorti riguardo a determinate dinamiche. Un modo semplice per farlo è dimenticare del tutto la plastica: dobbiamo immediatamente sostituirla con altro.
Se chiediamo una doggy bag per il nostro animale domestico, facciamo in modo che ce la servano dentro una busta di cartone, perché altrimenti i nostri sforzi e le nostre belle attenzioni sarebbero del tutto vane.
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S.S.
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