Come è regolamentata la detenzione di animali selvatici? Scopriamo insieme quali sono le norme dell’ordinamento che disciplinano la materia.
Negli ultimi anni sono cresciuti fortemente l’interesse e la sensibilità verso la sorte degli animali. Con essi, di pari passo, si è allargato anche il novero delle specie considerate quali animali d’affezione. La legge, tuttavia, pone dei limiti ben precisi; scopriamo come è disciplinata la detenzione degli animali selvatici.
Cane e gatto sono stati i migliori amici dell’essere umano (lo sono tuttora) per millenni; ma negli ultimi anni il novero delle specie con le quali egli condivide la sua vita è notevolmente cresciuto.
Leggasi animali domestici, o meglio ancora animali d’affezione, locuzione che vuol sottolineare come sia preponderante, nella definizione della categoria cui appartiene l’animale, il sentimento affettivo che lo lega all’essere umano.
La letteratura sul punto, soprattutto negli ultimi anni e anche grazie alle testimonianze dei video, si è arricchita notevolmente. L’essere umano è riuscito ad instaurare legami affettivi perfino con le specie più pericolose, quali orsi, leoni, tigri e grandi felini in generale.
Questa, ovviamente, è una semplice constatazione dei fatti, e non di certo un invito ad adottare tali animali; anche perché è vietato dalla legge.
Infatti, se da un lato l’essere umano ha dimostrato che è possibile instaurare una relazione affettiva con ogni animale, dall’altro è l’ordinamento giuridico a stabilire dei rigidi limiti sulla detenzione di animali selvatici; insomma, in merito agli animali che possono divenire o meno d’affezione.
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Dunque, il limite esiste ed è ben definito dalle norme. In particolare, nel nostro ordinamento, è il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 19 Aprile 1996 a tracciare la linea di demarcazione tra gli animali che si possono detenere o meno.
Il suddetto atto impone il divieto di detenzione di animali selvatici pericolosi, individuando la nozione di pericolosità nella capacità dell’animale di provocare, in particolari condizioni ambientali e/o comportamentali, effetti mortali o invalidanti per l’essere umano; sono altresì considerati pericolosi gli animali che, se non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione, possono trasmettere malattie infettive all’essere umano.
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L’elenco contenuto nel Decreto è molto corposo, e, a titolo esemplificativo, contiene anche specie selvatiche il cui habitat naturale è da individuarsi in luoghi limitrofi ai sobborghi umani (come ad esempio la volpe ed il cinghiale); non solo dunque i grandi predatori.
La violazione del divieto è punita, a norma dell’art. 1 della L. 150 del 1992, con l’arresto da sei mesi a due anni e con una ammenda da 15.000 a 150.000 euro.
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