Non è così raro citare in giudizio il vicino per problemi connessi agli animali, come ad esempio il cattivo odore che da essi promana. Ecco cosa può accadere.
Anche gli animali possono essere al centro di diatribe giudiziarie, specie se a contendersi la ragione sono dei vicini di casa. Uno dei classici della materia, si sa, è il cane che abbaia nelle ore deputate al riposo delle persone; oppure la mancata rimozione di escrementi in spazi e luoghi comuni all’interno di un condominio. Ma quando ad essere vicino di casa è un allevatore, i problemi, come il cattivo odore proveniente dall’allevamento, possono essere notevolmente amplificati, dato il numero degli animali coinvolti.
La vicenda giudiziaria
Allevatore costretto a risarcire i vicini per i danni cagionati dal cattivo odore proveniente dagli animali. No, non si tratta di una massima della Cassazione, né dell’enunciato di un articolo di legge, ma di una statuizione del Tribunale di Padova, che ha messo un primo punto ad una vicenda che si trascina da più di dieci anni.
Il gestore di un agriturismo di Fratte, frazione di Santa Giustina in Colle, piccolo paese del padovano, si è visto trascinare in giudizio da 16 famiglie, residenti nei pressi dell’attività.
Le proteste dei vicini sono iniziate nell’oramai lontano 2010, non sortendo esito positivo per lungo tempo: il comune, più volte chiamato in causa, non ha mai chiuso l’allevamento.
In Tribunale, tuttavia, le doglianze dei ricorrenti sono state ritenute fondate; dagli accertamenti tecnici effettuati è risultato che il cattivo odore proveniente dagli animali (mucche e maiali) detenuti nell’agriturismo superasse la soglia della normale tollerabilità.
Pertanto l’allevatore, oltre a doversi adoperare nell’adottare le misure idonee a bloccare il cattivo odore, dovrà corrispondere la somma di 300.000 euro a titolo di riparazione dei danni causati.
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Cattivo odore che promana dagli animali: quale norma regola la materia
La norma di riferimento è l’articolo 840 del codice civile, il quale stabilisce che il proprietario non può impedire, tra le altre cose, le esalazioni provenienti dal fondo vicino che non superano la soglia della normale tollerabilità.
Ed è proprio intorno a tale concetto che ruota la fondatezza o meno di una doglianza, e, va da sé, anche del caso specifico.
Ma come stabilire quando viene superata la soglia della normale tollerabilità? Non è affatto semplice, specie laddove si parla di odori.
Per il rumore, ad esempio, la legge individua dei parametri ben precisi, al di sopra dei quali la soglia della normale tollerabilità è considerata superata (sull’argomento può interessare la lettura di Il gallo canta troppo presto: cosa stabilisce la legge).
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Per gli odori, invece, questo non è possibile; dunque il giudice nello stabilire se si tratta di un’esalazione che superi la soglia della normale tollerabilità deve affidarsi anche alla comune esperienza; e per quanto si tratti di una sensazione soggettiva, dovrà attenersi, per quanto possibile, alla soglia di tollerabilità riconducibile a quella dell’uomo medio.
Soglia che evidentemente, il Tribunale di Padova, ha ritenuto sia stata superata dal cattivo odore promanante dagli animali dell’agriturismo di Fratte.
Antonio Scaramozza