Il padre della psicoanalisi ebbe due cani: un’assistente durante le sedute e un altro che lo seguì in esilio. Come si chiamava il cane di Freud? Di che razza era? Tutto quello che sappiamo
Sono tantissimi i filosofi, letterati, politici e pensatori che hanno dedicato agli animali pensieri, frasi, riflessioni e trattati. In questo articolo oggi vi parliamo di due grandi amici a quattro zampe di Sigmund Freud. Sappiamo infatti che il padre della psicoanalisi ha avuto due cani che non erano solo animali da compagnia. La prima dei due era una vera assistente di Freud durante le sedute di terapia dei suoi pazienti, mentre il secondo accompagnò il neurologo, psicoanalista e filosofo austriaco in esilio.
Scopriamo chi erano i due cani del padre della psicoanalisi.
Jofi (questo il nome del primo cane di Freud) era una cagnolina di razza Chow-Chow che era stata regalata a Freud nel 1930 dalla principessa Maria Bonaparte (sua paziente), pronipote di Napoleone. Jofi in ebraico significa “bene, va bene” e Freud quando trascorreva del tempo con la cagnolina si sentiva tranquillo e rilassato. Le ore trascorse insieme erano caratterizzate dal benessere mentale e dal relax ed è lo stesso Freud a descrivere così l’amore per il suo cane “Le ragioni per cui si può in effetti voler bene con tanta singolare intensità a un animale come Jofi, sono la simpatia aliena da qualsiasi ambivalenza, il senso di una vita semplice e libera dai conflitti difficilmente sopportabili con la civiltà, la bellezza di un’esistenza in sé compiuta. E, nonostante la diversità dello sviluppo organico, il sentimento di intima parentela, di un’incontestabile affinità“.
Ma a legare l’uomo e la cagnolina non c’era solo l’affetto, il bene e l’amore. Freud riteneva che Jofi avesse anche un effetto tranquillizzante, soprattutto sui bambini, e ammise che gli era d’aiuto nella valutazione dei suoi pazienti. Quando i pazienti erano calmi Jofi si accucciava vicino a loro per essere accarezzata, quando i pazienti ansiosi il cane teneva le distanze e rimaneva a dall’altro lato della stanza.
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Non è tutto. Come raccontato da Martin, il figlio di Freud, Jofi era abituata a seguire le sedute tra il padrone e i pazienti e col tempo imparò a calcolare la durata di ogni incontro. Quando il cane sbadigliava e si alzava in piedi quando erano trascorsi 45 minuti dall’inizio della seduta di analisi e questo era il segnale di “tempo scaduto”. Per questo Freud non aveva bisogno neppure dell’orologio durante il suo lavoro.
Freud era così legato a Jofi che quando la cagnolina morì sentì un vuoto talmente grande da decidere di prendere un altro cane; scelse un altro cane di razza Chow-Chow, a cui diede il nome Lun. Freud portò con sé Lun in esilio quando nel 1939 scappò dai nazisti.
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S.C.
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