Mentre noi continuiamo a cercare metodi efficaci per liberarcene, alcuni bruchi sono in grado di mangiare la plastica. Come ci riescono e perché? La parola agli esperti
-lo smaltimento della plastica resta un problema serio. Considerando che siamo riusciti a creare un “isola di plastica“, ovvero un enorme accumulo di plastica galleggiante situato nell’Oceano Pacifico e che, soprattutto, i pesci, le tartarughe e tanti altri animali spesso la mangiano per errore con conseguenze gravissime, dovremmo mostrarci sempre più sensibili alla questione.
Ancora adesso son mettiamo di cercare un metodo risolutivo per risolvere il problema, mentre la sua produzione continua ad essere troppo alta rispetto a quello che riusciamo a riciclare.
Ma una soluzione inaspettata ci arriva da madre natura. Infatti, esistono determinati microrganismi e alcuni insetti che sono stati definiti dai ricercatori “plastivori“. Nello specifico, alcune ricerche hanno mostrato che un gruppo organismi, di cui fanno parte batteri, funghi e insetti, è in grado di mangiare e digerire la plastica.
Queste specie di plastivori, di cui se ne contano 50 in tutto, hanno suscitato l’attenzione degli studiosi non solo per il fatto che possano mangiare la plastica ma soprattutto su come riescano a digerirla e di come faccia il loro organismo a non subire danni.
Tra gli insetti identificati come mangiatori di plastica vi è il bruco. Di preciso, l’esemplare considerato è la larva della farfalla Galleria mellonella che è nota anche con il nome di camola del miele.
Questi bruchi sono soliti invadere gli alveari delle api al fine di mangiare i favi al suo interno. In realtà, la loro capacità di mangiare la plastica era nota già dal 2017. Questa loro caratteristica fu scoperta da Federica Bertocchini, una ricercatrice presso l’Istituto di biomedicina e biotecnologia in Cantabria, in Spagna. La studiosa, che è anche apicoltrice, ha fatto la sua scoperta quando ha notato che i bruchi della farfalla Galleria mellonella quando mangiavano la plastica riuscivano a romperla rapidamente.
In realtà era ancora oscuro il motivo per cui i bruchi fossero in grado di digerirla, ma in qualche modo ci riuscivano. Così interessati a svelare il mistero, un gruppo di ricercatori dell’Università di Brandon a Manitoba, in Canada, ha avviato ulteriori studi sui bruchi della farfalla Galleria mellonella. I risultati della loro ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista di biologia, Proceedings of Royal Academy B.
Si è scoperto che, per digerire la cera d’api di cui normalmente questo insetto si ciba, il bruco e i suoi batteri intestinali sono in grado di romperne i legami chimici. Uno dei principali autori dello studio, Christophe LeMoine, ha affermato in un’intervista: “Presumibilmente, poiché la plastica presenta una struttura simile ai legami chimici che il bruco rompe per digerire la cera d’api, riesce con lo stesso modo a rompere quelli presenti nel polietilene e di conseguenza, ad utilizzare la plastica come fonte di nutrimento”.
Così i ricercatori hanno deciso di fare un esperimento. Hanno alimentato dei bruchi solo con dei sacchetti di polietilene, che non solo è il il tipo di plastica più utilizzato per la produzione dei sacchetti ma è anche una delle plastiche più resistenti. Gli scienziati hanno scoperto che i 60 bruchi potevano mangiare 30 centimetri quadrati di plastica a settimana e, soprattutto, che riuscivano a sopravvivere mangiando solo plastica.
I ricercatori hanno quindi compreso che i bruchi non solo riuscivano a ingerire la plastica ma anche a biodegradarla. Gli studiosi hanno scoperto che i microbiomi intestinali dei bruchi contengono batteri che riescono a trasformare chimicamente il polietilene in glicole etilenico, un composto organico che viene ampiamente impiegato come anticongelante.
Probabilmente, in normali condizioni un bruco non si ciberebbe di plastica ma, dato che ormai ne siamo circondati e che se motivato da situazioni di necessità, questo animaletto non fa problemi ad adeguarsi. Comunque sia la scoperta, potrebbe fornire un contribuito molto significativo per risolvere il problema.
“La natura ci sta fornendo un ottimo punto di partenza per gestire il modo in cui biodegradare la plastica in maniera efficace” – ha affermato un membro del team, LeMoine – “Ma abbiamo ancora alcuni enigmi da risolvere prima di utilizzare questa tecnologia, quindi sarebbe meglio continuare a ridurre la quantità dei rifiuti di plastica mentre cerchiamo di comprenderne di più su questo fenomeno.”
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M. L.
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