Il mondo è diviso rispetto alla questione se gli animali nello zoo vivano in buone o in cattive condizioni. Facciamocelo dire da loro.
Chi non è mai andato allo zoo? Noi viviamo in Italia e, per averne visto uno, sicuramente siamo stati accompagnati dalle nostre famiglie. In America, invece, è direttamente lo scuolabus a condurti in uno zoo, insieme a tutti gli altri tuoi compagni di classe e guidati dalle insegnanti, pronte a far ammirare ai ragazzini un lungo percorso di gabbie, all’interno di un parco enorme, che contengono varie specie animali, tenute in cattività.
Cosa significa “crescere in cattività”? Vuol dire che questi animali, che sono innumerevoli (pure perché non esiste un solo zoo al mondo, ve ne sono tanti), sono catturati, rapiti alle loro famiglie, rinchiusi appunto dentro a delle gabbie, separati dal resto del mondo da una grata, attraverso la quale le sole cose che passano sono le risa dei bambini, lo sbeffeggiare degli umani adulti, la carta di qualche merendina e qualche buccia o guscio di frutta secca.
Non che non vengano mantenuti in vita, questo no: gli animali sono un intrattenimento assai prezioso, valgono molto, e di conseguenza devono nutrirsi, devono dormire, come i carcerati in pratica, ma senza alcuno sprazzo di libertà che permetta loro di sentire che vivono una vita di qualità.
Molti di noi a volte non ci pensano, o sono troppo occupati a guardare ai propri interessi, il piacere di avere a portata di mano una distrazione spassosa con la quale passare il tempo e fare qualcosa di diverso insieme a tutta la famiglia: per questa ragione sono d’accordo col tenere le specie protette e a rischio d’estinzione sotto la costante osservazione dei custodi di questi lager di nome zoo.
Gli animali nello zoo sono infelici, non potrebbe essere altrimenti, anche nel caso in cui siano nati all’interno di queste strutture. E il motivo è semplice: la natura, prima o poi, chiama.
Uno dei ricordi più preziosi dell’infanzia di tutti i bambini, soprattutto negli States (come abbiamo detto), è quello dei genitori o degli insegnanti che li portano allo zoo. Chi nasce e cresce nei vari stati e nelle varie nazioni dell’America del Nord ha varie occasioni di visitare gli zoo e vedere così animali di tutte le specie possibili. In Messico già le occasioni diventano più rare e non tutti bambini riescono a osservare dal vivo gli animali incredibili che ossessionano la maggior parte delle loro fantasie a occhi aperti e chiusi.
Questa è la testimonianza di un ragazzo che, cresciuto in Messico, in una città poco popolosa, ha avuto poche opportunità di visitare lo zoo, insieme alla sua famiglia, e anche da grande, qualche volta ha deciso di andarci. L’effetto che gli faceva, però, è cambiato di anno in anno: e mentre da piccolo considerava lo zoo uno dei posti più belli del mondo, con il passare del tempo quella è diventata per lui un’esperienza sempre più deprimente.
È stato davvero triste vedere gli spazi relativamente piccoli in cui venivano tenuti questi grandi animali e la monotonia della loro vita quotidiana, dice Raphael Alexander, viaggiatore e blogger. “Dai, sembrano felici, qui non hanno predatori e non devono preoccuparsi di procurarsi il cibo” mia madre mi disse saggiamente quando avevo nove anni e cominciò a sollevare dubbi sulle condizioni e sul modo in cui gli animali venivano trattati allo zoo. Ho accettato educatamente la sua risposta e tuttavia interiormente (e scioccamente) io volevo solo liberare questi animali in libertà e far loro godere la vita.
I dubbi di Raphael divennero crescenti, fino al momento che cambiò del tutto la sua concezione sulla faccenda: liberarono Willy.
Chi è Willy? Alcune persone sanno che è la star di un film del 1993, “Free Willy”, che racconta la storia dell’amicizia tra un’orca e un ragazzo. Il piccolo riesce a liberare l’orca allo stato brado, dopo aver stretto amicizia con lei. Ciò che la maggior parte delle persone non sa è che “Willy” non era un personaggio realizzato in computer grafica o un attore in un convincente abito da orca, ma era una vera orca di nome Keiko (letteralmente “Fortunata” in giapponese, che ironia!), che al tempo viveva beatamente nel parco a tema “Reino Aventura” a Città del Messico.
Certo, il recinto era estremamente piccolo per un’orca delle sue dimensioni, quindi è perfettamente comprensibile che, dopo l’uscita del film, molte persone hanno protestato perché si trasferisse l’orca in un luogo più grande, o addirittura si mettesse in libertà, poiché era logico che Keiko avesse bisogno di più spazio. La “Free Willy-Keiko Foundation” voleva addirittura liberare Keiko nel suo habitat naturale, ispirandosi al ragazzino del film.
Keiko era stata catturata all’età di tre anni: quindi aveva trascorso più di 20 anni vivendo all’interno di acquari e non era in grado di adattarsi a vivere da sola nell’oceano. La fondazione tuttavia riuscì a liberarla e, sotto la loro responsabilità, Keiko morì nel 2003 di polmonite.
Per me, la storia di Keiko era una storia di ammonimento sull’andare contro la natura, dice Raphael. Ma aspetta, non è già innaturale che gli animali nascano e crescano in cattività? Sì e no.
Raphael Alexander racconta due diverse esperienze vissute dagli animali nello zoo e le mette a paragone per farci capire il suo punto di vista sulla questione.
Uno degli animali vive nello zoo gestito dal governo Argentino, che ospita molte specie esotiche in piccoli recinti, ha strutture in rovina e incoraggia effettivamente i visitatori a comprare snack per nutrire gli animali.
Non c’è da meravigliarsi che l’orso polare in questo zoo sia morto nel 2012 a causa del surriscaldamento. Questo è fondamentalmente tutto ciò che uno zoo non dovrebbe essere, dice il blogger.
Dall’altro lato dell’equazione c’è il Temaikén Bioparque, che sì, è soltanto il nome di un altro zoo, ma è molto più grande e attrezzato, alla pari (e in alcuni aspetti persino superiore) rispetto alla maggior parte degli zoo europei. Enormi recinti, attività organizzate con ranger del parco per sensibilizzare su come gli animali dovrebbero essere trattati e spazi interattivi dove è possibile conoscere meglio la fauna dell’Argentina e del mondo.
Un po’ più fuori da Buenos Aires, nella città di Lujan, puoi anche trovare un altro posto dove vedere gli animali, anche se non potevo quasi considerarlo uno zoo, poiché sembra più un circo, racconta ancora Raphael. Questo “Zoo di Luján” ti permette, infatti, di accarezzare tigri e leoni.
Tuttavia, contrariamente al programma di allevamento ed educazione utilizzato nel Regno delle Tigri per rendere le tigri amichevoli per l’uomo, questo zoo di Lujan in realtà droga gli animali. Commettono, dunque, degli abusi che, oltre a essere punibili in svariati paesi, sono contrari ad ogni senso di umanità e civiltà.
Quindi, secondo il blogger di viaggi, Raphael Alexander, gli zoo sono sbagliati intrinsecamente, ma ve ne sono di brutti e ve ne sono di meno brutti: luoghi dove alcune specie davvero rare vengono prelevate per essere messe in salvo da habitat ormai inospitali per loro, affinché possano continuare a vivere e noi possiamo continuare ad ammirarle estasiati.
Ma le due domande che ci dobbiamo porre sono: Quali diritti hanno gli animali? Quali diritti abbiamo noi su di loro?
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S.S.
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