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Animali mansuefatti: definizione legislativa e risvolti pratici nel loro possesso

Il codice civile disciplina la figura degli animali mansuefatti: ma quali sono? E quali diritti la legge riconosce in capo ai rispettivi proprietari?

(Foto Adobe Stock)

Districarsi tra le fitte maglie tessute dalla legge non è affatto facile. Se poi la legislazione è quella sugli animali, la trama diventa ancora più intricata. Per questo, per gli amanti degli animali, può essere molto utile conoscere le basi della disciplina. Ad esempio, cosa intendiamo quando parliamo di animali mansuefatti?

Animali mansuefatti: la definizione codicistica

(Foto Adobe Stock)

Siamo abituati a concepire il mondo per categorie, e gli animali non fanno eccezione. E allora eccoci intenti a distinguere tra animali d’affezione, da reddito e selvatici. La legge, tuttavia, ha sempre in serbo qualche definizione sconosciuta ai più, quasi come un asso nella manica da sfoderare alla bisogna.

Ad esempio, cosa si intende per animali mansuefatti? Ebbene, con tale espressione ci riferiamo agli animali non domestici che abbiano acquisito le abitudini della cattività.

Tutto qua?

Non è così semplice come può apparire di primo acchito, poiché v’è grande confusione sulla definizione delle categorie in base alle quali siamo soliti distinguere gli animali; da un lato a causa del silenzio del Legislatore, dall’altro perché tali categorie sono continuamente modificate dalla società, e finiscono per confondersi nei vari punti in cui si incontrano.

Ad esempio potremmo risolvere la questione ricorrendo alla semplice equazione tra animali mansuefatti e animali da reddito. Eppure, valutando la scarsa giurisprudenza sul punto, potremmo uscirne con le idee ancora più confuse. La Cassazione nel 1950 ha stabilito che l’art. 925 c.c. riguarda gli animali mansuefatti, e non quelli domestici come il cavallo.

Ebbene, l’equino è uno di quegli animali che si pone in una grigia terra di mezzo (legislativamente parlando); non vi sono dubbi che possa essere definito quale animale d’affezione, ma non ve ne sono altrettanti sul fatto che possa anche utilizzato a fini produttivi. Insomma, un animale anche da reddito.

Potremmo allora tentare un’altra strada, per esclusione: gli animali mansuefatti sono tutti quelli che non sono domestici. Ma cosa si intende per animali domestici? E cosa sono invece quelli d’affezione? Ebbene sì, perché nel frattempo la legislazione si è evoluta, quantomeno in fatto di terminologie.

La L. n. 281 del 1991 è denominata “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo“. Leggendo la normativa si comprende come ci si riferisca a cani e gatti; ma non v’è dubbio che siano da considerare al pari di essi anche criceti, porcellini d’India, cavalli (fermo restando quanto sopra detto), pappagalli, furetti e quant’altro.

Esemplificando, gli animali con i quali l’essere umano possa instaurare un rapporto affettivo. Potenzialmente tutti, fermo restando il rispetto delle norme sugli animali che è vietato detenere.

Se la nozione di animale d’affezione rappresenta un’evoluzione di quella dell’animale domestico (e così è da interpretare nel silenzio del Legislatore), è chiaro altresì che l’animale mansuefatto non potrà essere identificato in quello non domestico, ma in quello non da compagnia.

Insomma, un animale che l’essere umano possegga a fini esclusivamente produttivi, non avendo instaurato con esso alcun rapporto affettivo. E se così fosse, la conclusione sarebbe tanto semplice quanto rivoluzionaria: non si potrà più ragionare e discriminare per specie, ma per legami affettivi.

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Risvolti pratici della questione: l’art. 925 c.c.

Ebbene, quali sono i diritti che il proprietario vanta sugli animali mansuefatti?

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É l’art. 925 c.c. a risponderci: l’animale mansuefatto può essere inseguito nella proprietà altrui. Per contro, il titolare del fondo, a norma dell’art. 843 c.c. deve consentire l’accesso, o, in alternativa, consegnare egli stesso l’animale; fermo restando il diritto a ricevere un’indennità per gli eventuali danni subiti.

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Si ha diritto di inseguire i propri animali mansuefatti nel fondo altrui nel termine di venti giorni, che decorrono dal momento nel quale si viene a conoscenza della loro ubicazione. Scaduto tale termine, gli animali diverranno proprietà di chi se ne è impossessato.

La disciplina non si applica anche agli animali da compagnia; fermo restando l’obbligo del proprietario, nel caso di smarrimento, di attivarsi nella loro ricerca. Anche la sola inerzia nella predetta attività può infatti integrare la fattispecie di reato di abbandono di animali.

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Antonio Scaramozza

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