Un romanzo bestseller, un film commovente. La vera storia dell’uomo che sussurra ai cavalli
Tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Evans “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, pubblicato nel 1995 e diventato subito un romanzo best seller. Raccont la storia di una ragazzina di 13 anni, Grace MacLean, che ha perso un arto dopo un incidente a cavallo durante il quale morì una sua amica. La madre Annie decise di rivolgersi a un addestratore, Tom Booker, noto per la sua capacità di comprendere i traumi dei cavalli. La donna aveva pensato che far incontrare Grace e il suo cavallo, entrambi traumatizzati; questo avrebbe aiutato la figlia a ricucire le proprie ferite dell’anima. Ed è così che Annie si è messa alla ricerca dell’addestratore intraprendendo un viaggio fino al Montana, con la figlia e il suo cavallo.
Il romanzo è diventato un film scritto, diretto e interpretato da Roberd Redford. Un percorso alla scoperta del linguaggio dei cavalli e del potere della comunicazione e della relazione con questa specie. Una storia per certi versi autobiografica che racchiude le esperienze di alcuni uomini che hanno dedicato la loro vita alla doma dolce, promuovendola in tutto il mondo.
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Tra questi Monty Roberts chiamato anche “l’uomo che ascolta i cavalli”. Ha imparato il linguaggio non verbale degli equini, osservando il loro comportamento allo stato brado. Amico dell’attore americano James Dean, Monty Roberts doveva creare un centro con Dean che purtroppo morì prima di raggiungere Roberts. Il metodo “join up” di Monty Roberts ha rivoluzionato il mondo dell’ippica e venne anche introdotto nel Regno Unito in una dimostrazione alla Regina d’Inghilterra. La notorietà di Roberts è cresciuta nell’arco degli anni. Da bambino era solito osservare la mandrie di cavalli selvatici, i mustang americani, da dove ha appreso tutto il suo sapere per opporsi alla doma tradizionale, rigida e violenta del padre.
Il best seller di Evans si sarebbe ispirato in realtà a un altro importante “sussurratore” di nome Buck Brannaman, un cow boy scappato da un’infanzia di abusi, sviluppando uno straordinario quanto sensibile approccio al cavallo. E’ stata la figura di Brannaman a ispirare Robert Redford nel calarsi nel personaggio di Tom Booker nel film “l’uomo che sussurra ai cavalli”. Brannaman è stato al fianco di Redford per le riprese del film, affiancandolo e dando dei consigli per le scene, arrivando fino a mettere a disposizione il proprio cavallo al quale ha insegnato a zoppicare per risolvere le riprese del cavallo ferito e zoppicante. Nel 2011, ha vinto il Sundance Film festival, un docu-film intitolato “Buck”, dedicato a Brannaman.
In occasione dell’uscita del documentario, Brannaman, in un’intervista ha cercato di spiegare quello che ha imparato dai cavalli.
“Il modo in cui un cavallo ti risponde racconta molto della tua relazione con lui. Parla anche un po ‘di come approcci le relazioni con altri esseri umani. Se il cavallo ti accetta nel suo mondo, è probabile che tu sia un essere umano piuttosto piacevole con cui stare. Se non può sopportarti, probabilmente ci sono alcune cose che devi modellare nella tua vita che vanno al di là del rapporto con l’animale”. Afferma Brannaman, sostenendo che nella maggior parte dei casi, la relazione sbagliata con il cavallo, rispecchia cose che le persone non hanno risolto con loro stesse.
Il contatto con il cavallo diventa una scuola di vita per accrescere e superare gli ostacoli e i traumi della vita, abbandonandosi alla relazione presente.
Lo stesso Brannaman commenta: “Quando mi chiamano le persone per risolvere un problema che hanno con i loro cavalli, in realtà si tratta di cavalli che hanno problemi con delle persone”.
Il ruolo dei sussurratori non è solo aiutare le persone a superare i propri traumi o a stabilire un nuovo principio di approccio al cavallo, fondato sulla doma etologica. I “sussurratori” sono chiamati a riabilitare equini che hanno subito dei traumi. Purtroppo non è sempre possibile recuperarli. In alcuni casi, sottolinea Brannaman “sono gli umani a essere responsabili del loro fallimento nel non aver aiutato un cavallo a imparare quello che non doveva fare prima che diventasse troppo pericoloso. C’è un messaggio importante in quel cavallo ed è quello che una persona si deve assumere le proprie responsabilità sia che si tratti di un cavallo, un bambino o un cane. Quel cavallo potevo essere io da bambino. Per fortuna mi è capitato di entrare in una famiglia adottiva con due persone meravigliose che mi hanno cambiato la vita e mi hanno indicato la giusta direzione”.
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C.D.
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