Animali allo specchio. Oltre ad essere stato oggetto di un interessante sperimento sociale nella foresta, condotto nel 2015 da un fotografo francese, si tratta in realtà di un test che alcuni ricercatori hanno messo appunto per poter verificare se gli animali hanno una coscienza di sé. Elemento piuttosto significativo soprattutto per affermare i loro diritti come esseri coscienti, limitandone lo sfruttamento e gli abusi.
Anche se nella maggior parte dei casi, gli animali vengono considerati essere senzienti, ovvero che provano dolore e sentimenti, quello della coscienza di sé, ovvero che hanno delle capacità cognitive e percettive simili a quello dell’uomo è un tema ancora oggi molto dibattuto ma in parte riconosciuto ad alcune specie come le scimmie antropomorfe, gli elefanti asiatici, i delfini e le gazze.
Una complessità di elaborazione del cervello che fino ad oggi era solo riservata all’uomo. In questo scenario, emerge un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica PlosOne, condotto sui cavalli e messo appunto da quattro ricercatori del Dipartimento di Scienze Veterinarie e Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, Paolo Baragli, Elisa Demuru, Chiara Scopa ed Elisabetta Palagi,.
Lo studio che sarà presentato al pubblico il prossimo 9 giugno alle 16.30 al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa accerta che anche i cavalli hanno coscienza di sé.
“Abbiamo selezionato il cavallo non solo in quanto animale sociale capace di riconoscere individualmente gli esseri umani e i propri simili con modalità multisensoriali ma soprattutto per il ruolo che questa specie ha svolto e svolge in condivisione con l’uomo, in ambito produttivo, ludico-sportivo e terapeutico grazie agli Interventi Assistiti con Animali, genericamente indicati con il termine di Pet Therapy”, ha spiegato Baragli.
Mentre la ricercatrice Palagi ha invece sottolineato che “la capacità di riconoscersi allo specchio è da considerare elemento predeterminante in forme sociali complesse sia dal punto di vista cognitivo che empatico”.
Come per lo studio condotto negli anni cinquanta sugli elefanti, i ricercatori hanno utilizzato il mark test, ovvero una marcatura colorata su un punto del corpo che l’animale può vedere solo con l’aiuto di una superficie riflettente.
In questo modo, solo se l’animale è capace di riconoscersi nello specchio, nota il seno e cercherà di toglierlo. Come verifica, i ricercatori applicano poi una marcatura trasparente, invisibile, che garantisce la stessa sensazione tattile della marcatura colorata, senza però fornire alcuno stimolo visivo.
In base ai risultati, ben tre cavalli su quattro hanno interagito con la marcatura, grattandosi più frequentemente la guancia dove era presente la marcatura rispetto a quando la stessa guancia era marcata con il segno trasparente.
Secondo le indiscrezioni, durante il test uno dei cavalli avrebbe mostrato maggiore interesse al segno colorato.
“Questi risultati non confermano appieno la capacità di riconoscersi allo specchio nel cavallo, tuttavia l’accurata video analisi ha rivelato la presenza di particolari comportamenti che i soggetti mettevano in atto esclusivamente davanti alla superficie riflettente; ad esempio, subito dopo aver esplorato la loro immagine riflessa, i cavalli guardavano dietro lo specchio, come a voler verificare l’assenza o la presenza di un altro individuo”, conferma la Pelagi.
Si tratta di un punto di partenza dal quale i ricercatori stanno cercando di mettere appunto altre metodologie per accertare le capacità di auto-riconoscimento dei cavalli: “La difficoltà di rimuovere la marcatura potrebbe indurre nei cavalli stati d’ansia e frustrazione che inevitabilmente ridurrebbero la motivazione a rimuovere il segno colorato, nonostante questo possa essere perfettamente percepito come presente sul proprio corpo. Abbiamo già eseguito dei nuovi test su un campione più numeroso presso il Centro Addestramento Etologico (San Marcello Pistoiese) apportando modifiche al disegno sperimentale in modo da tenere conto delle specificità anatomiche dei cavalli e presto inizieremo l’analisi dei dati raccolti”, ha concluso Baragli.
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